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Salario minimo: per l’Italia non è una priorità

Con grandi squilli di tromba la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen annuncia l’accordo raggiunto sul salario minimo per tutti i Paesi d’Europa: “Le nuove regole proteggeranno la dignità del lavoro e faranno in modo che il lavoro sia pagato“.

C’è da dire che alcuni Stati Europei che posizionano la dignità degli uomini alla base di una società civile, il salario minimo lo perseguono già da tempo anche senza la necessità di normarlo. Altre invece, nonostante poggino le loro fondamenta costituzionali sul lavoro, sono ben lontane dal proteggere i propri cittadini da contrattazioni non sempre regolari, nascondendosi dietro il dito dei Contratti Collettivi Nazionali. Una selva all’interno della quale alcuni di questi non vengono aggiornati da anni.

Per esempio, l’Italia.

Nel Paese in cui gli stipendi non crescono almeno da un paio di decenni, i Presidenti delle varie Associazioni di Categoria e relative sussidiarie lamentano da anni la mancanza di personale specializzato e mai come quest’anno le pagine dei giornali a torto o a ragione raccontano un’epoca in cui certi profili in particolare sono completamente spariti dalla piazza perché non ritengono le condizioni offerte in linea con il lavoro da svolgere. In prima fila anche ieri, sull’onda delle notizie legate al salario minimo, il Presidente di Confindustria Bonomi non ha perso l’occasione per dichiarare che “il problema riguarda gli artigiani, non certamente le aziende confindustriali“.

Come già una volta segnalato su questo giornale, Bonomi ha qualche problema con i dati e al Presidente di Confindustria sfugge che sono almeno 4 milioni e mezzo i lavoratori che, pur godendo di un Contratto Collettivo Nazionale, percepiscono una tariffa oraria al di sotto di 9 euro l’ora.

Non è solo un problema di salari, è un problema di cultura

Aprendo parentesi, pur non avendo a che fare con il salario minimo ma di certo dice molto sulla cultura del lavoro delle aziende (soprattutto) confindustriali, basterebbe intervistare una qualsiasi agenzia per il lavoro per rendersi conto che i clienti di contratti (ex) interinali, a tempo determinato, con periodi che ormai sforano mediamente anche oltre l’anno, non sono certamente quelli per i soli artigiani (che spesso il servizio delle agenzie non possono nemmeno permetterselo), ma aziende strutturate, di tutto rispetto, che ormai hanno incancrenito nella compagine dei dipendenti una quota parte di lavoratori precari per contenere i costi e permettersi di “alleggerire la forza lavoro nei periodi di minor carico”.

E qui torniamo al tema del salario perché, se una volta la legge prevedeva che un lavoratore interinale dovesse avere identica retribuzione e trattamento di coloro che in azienda svolgono lo stesso lavoro, fin troppo facilmente troviamo in azienda figure sotto inquadrate rispetto ai loro pari funzione.

Lavorano ma sono poveri

Mai come quest’anno si è parlato di lavoratori che nonostante l’occupazione vivono in regime di miseria e proprio un articolo del Sole 24 ore a gennaio sottolineava che “secondo il rapporto presentato al ministero del Lavoro, l’11,8% dei lavoratori in italiani versa in condizioni di povertà. Le cause? Salari bassi, rapporti discontinui e carico famigliare”.

Eppure, intervenendo al festival dell’Economia di Trento organizzato dalla Provincia autonoma e dal Gruppo 24 Ore, di fronte a un pubblico certamente ben allineato il ministro Brunetta ha detto che: “Il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazioni industriali. Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca e valorizziamo le nostre relazioni industriali. Il salario non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività”. Aggiungendo che la crisi non esiste e il nostro Paese va verso il 3% di crescita del PIL.

Grandi soddisfazioni anche dal Ministro del Lavoro Orlando: “Sul salario minimo vedo aperture positive da tutte le parti. Vediamo qual è il punto di contatto che consenta di intervenire subito in attesa poi di una legge di carattere più organico e che consenta di dare una risposta immediata ai lavoratori che si trovano a basso reddito e a basso salario. Come sempre – aggiunge Orlando – c’è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”.

Per il Ministro, è sufficiente che sia quantomeno riscaldata.

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