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No, non è la gentilezza

Ad aprire il fuoco nel solito tiro incrociato delle classifiche caricate a salve sulle parole dell’anno è stata la Luiss, la Business School romana.

Il gioco, che da anni è l’esercizio di stile delle società di consulenza, consiste solitamente in un elenco di termini che dovrebbero rappresentare o l’anno appena trascorso o – futuribilmente – quello in arrivo, sulla base di interviste a luminari delle stesse società o di sondaggi che raramente superano i 100 intervistati.

Un po’ come succede specularmente con le classifiche dei “mestieri più ricercati dell’anno” condotte dalle società di selezione e dalle Agenzie per il lavoro per ricavarsi qualche riempitivo sui giornali. Classifiche che, messe una vicino l’altra, sembrano appartenere a inchieste condotte su pianeti diversi e lontani, visto che non si sa per quale motivo ognuna di queste liste non coincidono mai fra loro.

Torniamo alle parole dell’anno.

Nell’elenco della Luiss emergono dei termini che ormai sono diventati degli evergreen di banalità e inapplicabilità per i quali c’è da chiedersi se quanto emerso sia davvero il massimo che ci possiamo aspettare dal potere divinatorio dei suddetti esperti interpellati. D’altronde, come potremmo mai fare a meno di una bella porzione di resilienza, un pizzico di sostenibilità (anzi, “successo sostenibile“), la classica flessibilità per strizzare l’occhio all’impresa e al contempo dare un calcio nel sedere ai dipendenti, e new normal quanto basta.

Viene da chiedersi in che misura, visto che la “old normalità” non si poteva di certo definire tale (e se c’è una cosa positiva della pandemia è che ce ne siamo accorti quasi tutti) ma di new normal mi sembra che all’orizzonte se ne veda ancora poca.

Naturalmente la lista si arricchisce di qualche termine a metà strada fra Frankenstein e la supercazzola, quanto serve per dare un tocco di futurismo incredibile e finta internazionalità all’articolo: “Innovazione Empatica“, “Ecosistemazione“, “Outlier“.

Per par condicio è necessario citare il punto di vista della Bocconi, che, nella cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, ha individuato in “sostenibilità digitale” la parola dell’anno, affidandola a un testimonial che ne è l’esempio perfetto, tanto di sostenibilità quanto di digitalizzazione:

“Abbiamo bisogno di una nuova strategia per lo sviluppo sostenibile”, ha dichiarato Mario Monti. “Le nuove generazioni meritano un mondo migliore, in cui il progresso non vada a scapito della loro salute e di quella del pianeta. La lezione appresa durante la pandemia ci ha insegnato che serve uno sforzo corale dei governi nazionali, delle organizzazioni regionali e di quelle globali a partire dall’Europa. La consapevolezza dei legami tra cambiamento climatico, biodiversità, salute umana e sviluppo economico e sociale deve guidarci nel progettare una nuova cultura che poggi le sue fondamenta su un sistema universitario in grado di anticipare e interpretare le nuove sfide e formare generazioni di leader capaci di adattarsi al cambiamento”.

Con grande perizia il Senatore, nonché ex Premier di uno dei governi più riusciti, in meno di 600 caratteri ha riassunto la summa completa della retorica esercitata negli ultimi 20 anni da politica, istituzioni, slide aziendali e business-mental-cyber coach che sembrano non passare più di moda.

“Gentilezza”: la parola meno adatta a ritrarre questo tempo

Non sono riuscito a trovare una parola che non facesse sembrare insulso anche questo articolo.

Complessitàl’aveva già presa (gli spetta di diritto) Alessandro Cravera; di “Innovazionenon poteva che parlarne Ivan Ortenzi senza farla sembrare banale; Condivisione” l’ha scelta la direttrice Stefania Zolotti, dando al termine un senso di misura straordinario; di “Transizione“, con tutta la sua scorta di inefficienza e di grande bluff utile solo a fare da specchietto per le allodole affinché l’Europa non ci ritenga inadeguati al PNRR, ne ha scritto Sergio Labate.

E questo paragrafo serviva solo a farvi recuperare 4 parole e altrettanti autori che vale la pena leggere.

Avrei scelto “Ibrido“, altro termine abusato da quelle aziende e da quei manager che, pur di non cambiare nulla rispetto a due anni fa, usano le parole per nascondere la loro incapacità di adeguarsi ad un mondo del lavoro che è cambiato profondamente e che ha bisogno di decisioni tutt’altro che ibride.

Il Management della Gentilezza e altre fregature

Alla fine sono incappato nella parola “gentilezza“, anche questa con migliaia di citazioni e di auto candidature da parte di imprenditori che reputano essere questa la caratteristica che oggi “deve guidare le aziende e i loro leader“.

Non a caso si sprecano gli articoli sul management della gentilezza, mentre in Italia abbiamo oltre 60 tavoli di lavoro sospesi sul tema delocalizzazioni e licenziamenti, gentilmente avvenuti tramite SMS quanto di aziende sparite dalla mattina alla sera al ritorno dalle festività natalizie. Fra i titoli più cliccati: il “leader gentile“, “il potere della gentilezza“, “manager gentili, dipendenti felici“.

Il solito Forbesacchione Italia ha inserito il tema della gentilezza anche nella sua personalissima classifica delle doti del leader del futuro, ma non trovandone nemmeno uno in carne e ossa sul suolo patrio, per corredare l’articolo è ricorsa a un’immagine di Getty Images il cui impiego originario probabilmente riguardava la pubblicità di un negozio di cravatte.

Una lista gentile

Solo per fare un esempio: uno dei non pochi contatti che per igiene personale ho “sganciato” dai miei social in un anno in cui le conversazioni sono state tutt’altro che gentili, riguarda proprio un imprenditore – conosciuto di Persona – che pre pandemia trasmetteva messaggi di inclusione, apertura mentale e adesione a modelli di sostenibilità (tanto da raccontare con grande enfasi la sua adesione BCorp). Da un anno a questa parte non fa altro che inveire contro chi non la pensa come lui con parole tutt’altro che gentili, l’apertura mentale della fessura di un salvadanaio e l’inclusione tipica di chi ha le chiavi di Robben Island (la prigione dove è stato detenuto Nelson Mandela).

Fabio Salvi, HR Manager di Flixbus, in un suo post su Linkedin di qualche mese fa aveva fatto un elenco delle frasi più terribili, comparse in rete da parte di giornalisti ed esponenti delle istituzioni e della cultura che avrebbero come compito (ma anche come responsabilità, visto il pubblico che rappresentano) quello, per l’appunto, di avvicinare le Persone al ragionamento, accompagnandole per mano verso l’evidenza dei fatti o quantomeno offrire gli strumenti incontestabili per un dibattito civile:

“Vorrei vederli cadere come mosche.” Andrea Scanzi, giornalista.
“Tutti i vaccinabili siano immunizzati con le buone o con le cattive.”Matteo Bassetti, infettivologo.
“I rider dovrebbero sputare nel cibo dei no-vax. “David Parenzo, giornalista.
“Criminali no vax.” Libero quotidiano del 21 agosto 2021.
“Carrozze dei treni dove segregare i no vax.” Mauro Felicori, assessore alla cultura (…) Emilia Romagna.
“Come sorci resteranno chiusi in casa, agli arresti domiciliari.” Roberto Burioni, virologo.
“Vorrei vederli ridotti a una poltiglia verdastra.” Selvaggia Lucarelli, opinionista.
“I cani possono sempre entrare.Solo voi, come è giusto, resterete fuori.”  Sebastiano Messina, giornalista.
“Sono dei criminali, associazioni organizzate contro lo Stato.” Matteo Bassetti, infettivologo.
“No-vax fuori dai luoghi pubblici.” Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana.
“Escludiamo gli evasori vaccinali dalla vita civile.” Stefano Feltri, direttore di Domani.
“Non vaccinati mettano un cartello al collo. Sarà possibile scansarli.” Angelo Giovannini, sindaco di Bomporto.
“I no vax sono terroristi e vanno sfamati con il piombo. Richiamate Bava Beccaris.” Giuliano Cazzola, giornalista e candidato + Europa.

Nemmeno i dottori sono più gentili

La lista è ferma a fine novembre; nel frattempo le conversazioni si sono ulteriormente accese e animate e in questi giorni sono volati gli stracci anche fra medici e scienziati che da un paio di anni ci fanno compagnia in quasi tutte le trasmissioni televisive.

Giorgio Palù, professore di Neuroscienze all’Università di Philadelphia: “Crisanti è un mio allievo, nel senso che accademicamente l’ho chiamato io da Londra. Non è un virologo, non ha mai pubblicato un lavoro di virologia. Devo dire che negli ultimi dieci anni non ha neanche pubblicato lavori di microbiologia. Ho fatto una certa difficoltà a chiamarlo, dico le cose per quello che sono. È un esperto di zanzare

Crisanti a proposito di Bassetti: “Penso che le dichiarazioni siano da analfabeti di epidemiologia”

Bassetti replica a Crisanti: “Spiace che chi lo ha fatto parli di come curare la gente, ma non sappia la differenza tra un metatarso e un tampone e che l’ultima volta (se lo ha mai fatto) che ha visitato un paziente è stato forse nel secolo scorso. Scorrendo poi il curriculum non si rileva traccia di studi di virologia … se non dal marzo 2020….l’analfabeta in malattie infettive sembra qualcun altro. Ad maiora”.

“Ci siamo sbagliati”

Non ho un finale particolarmente ottimista.
Da mesi su questo giornale e sui social, evitando accuratamente di trattare il tema vaccini dal momento che basta davvero una domanda per farsi etichettare nell’uno o nell’altro senso, ho preso molto a cuore la degenerazione della comunicazione in generale e dell’informazione dei giornali più diffusi, nello specifico.

Ci siamo trovati di fronte a un fenomeno che non poteva essere previsto e che non eravamo preparati ad affrontare – non c’è dubbio – ma col passare del tempo abbiamo anche compiuto molti errori di gestione: fra quelli più madornali riguardanti le modalità con cui abbiamo reso note le cifre, i dati spesso discordanti, le misure per far fronte ai rischi.

Ci siamo concessi la possibilità di sbagliare ma mai quella di ammetterlo, stratificando comunicazione su comunicazione, decisione su decisione spesso in modo confusionario, contraddittorio, irrazionale e questo è andato a discapito sia della comunicazione stessa, ma anche delle relazioni fra le Persone.

Siamo un Paese particolarmente predisposto alla divisione in squadre, dai campanili alla politica allo sport, cercando più spesso di dimostrare la ragione piuttosto che cercare la verità. Questo ha creato fratture sociali fra conoscenti, partner professionali, amici e addirittura in famiglia, che difficilmente si rimargineranno in pochi anni.

Per stare tutti meglio e ripristinare un minimo di regole di rispetto e buona convivenza, fra le parole da ritrovare c’è “scusa“, ci siamo sbagliati.

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