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La gavetta c’è sempre stata, non l’ha inventata Borghese.

Il lavoro si paga.

Che sia tirocinio, stage, prova o una qualsiasi sottospecie contrattuale che in questo Paese a partire dagli studi professionali (tema tabù che in Italia i giornali si guardano bene dall’affrontare e ancor meno la politica che da sempre non ama mettersi in contrapposizione con Ordini Professionali e Associazioni di Categoria) fino alle stagionalità in stabilimenti balneari, ristoranti e alberghi di costa o di montagna, nel momento in cui una Persona svolge una qualsiasi mansione come può essere riordinare un archivio o lavare i piatti, o strategica come cucinare o seguire un’attività di segreteria, quella Persona partecipa al risultato di quell’organizzazione, ne alleggerisce il carico di lavoro, permette agli imprenditori di avere più clienti e pertanto va considerata alla stregua di qualsiasi altro lavoratore regolarmente assunto, retribuito e valorizzato. In proporzione all’esperienza e alle competenze, naturalmente.

Io non credo ci sia altro da aggiungere.

La discussione è fin troppo banale; dopo almeno quattro anni in cui i giornali ospitano, supportano, alimentano la narrazione degli imprenditori che non trovano collaboratori di cui questo giornale – e ci tengo a sottolinearlo – è stata una voce totalmente fuori dal coro rispetto a Gazzettino Veneto e il Sole24Ore veri e propri pionieri di questa malata (e finta) epopea, seguiti a ruota da praticamente tutta la stampa nazionale e locale (il Tirreno e il Resto del Carlino in pole position) che ha trovato una modalità nuova per dar voce a inserzionisti, investitori e troppo spesso a imprenditori sgangherati o mitomani in cerca di visibilità.

Ma fino a che stiamo parlando di “testimonianze pop” lasciano il tempo che trovano; che in genere è il tempo di un caffè al bar, luogo prefissato per la lettura di quel tipo di notizie e spesso anche di quel tipo di giornali. O al massimo in contenitori televisivi per casalinghe mattiniere o pensionati pomeridiani utili a riportare la discussione il mattino dopo al bar di cui sopra, in un’economia circolare della non-notizia.

Ma quando a rilasciare certe dichiarazioni sono imprenditori con una loro credibilità e un ruolo presidenziale nelle Associazioni della Categoria di riferimento, allora è il caso di approfondire e verificare. E in questo l’informazione nazionale è venuta meno, scegliendo la strada del clickbait e inasprendo l’opinione comune nei confronti di capri espiatori a volte più, a volte meno credibili.

Le domande che non posso farLe

Eppure, anzichè “reggere il microfono”, sarebbe bastato chiedere a quegli imprenditori:
– “come li state cercando?”
– “che contratto offrite?”
– “quali sono le condizioni proposte?”
per spegnere definitivamente una polemica costruita ad arte e che ha come uniche protagoniste una totale mancanza di politiche attive del lavoro, un dialogo interrotto da anni fra scuole specializzate e mondo del lavoro e non ultima una cultura del lavoro al ribasso dove ancora vale la logica per la quale “se ho un’azienda e offro lavoro è più che sufficiente per attivare un pellegrinaggio verso l’ufficio risorse umane e riconoscenza perpetua in caso di assunzione”.

Mancano una cultura del lavoro sana e le competenze imprenditoriali per attrarre e assumere Persone

Anche nei contesti più strutturati spesso non esistono offerte di lavoro rintracciabili nelle principali piattaforme di recruiting on line, non esiste un’area “lavora con noi” all’interno dei siti web aziendali (alcuni dei quali sono talmente vetusti che è quasi una fortuna che nessuno vada a consultarli), non c’è una strategia minima di reclutamento del personale (presentazioni nelle scuole, partecipazione a qualche Career Day universitario per non spingermi nel Metaverso dell’Employer Branding che mi rendo conto possa sembrare fantascienza, di cui forse mi pento solo per averlo scritto), ma molto spesso sebbene quelle aziende siano strategiche per certi territori e ne rappresentino il fulcro dell’economia, non esiste nemmeno un ufficio del Personale che vada oltre alla registrazione delle presenze.

Eppure, nonostante l’evidenza dei fatti, i giornali hanno dato uno spazio ingiustificabile ad un tema che non esiste. Come non esiste la polemica intorno al Reddito di Cittadinanza i cui percettori sono un milione e mezzo circa, prevalentemente al Sud, con un sussidio medio di 500 euro. Dati attestati anche dalla Corte dei Conti che ha sgomberato il tavolo da retropensieri e bugie, spiegando chiaramente che il RdC è stata una manovra fondamentale per abbassare la soglia di povertà nel nostro Paese.

E ammesso e non concesso che davvero esistano imprenditori così sfortunati da incontrare nelle loro selezioni esclusivamente i percettori del Reddito e ricevere costanti rifiuti, come mai questi imprenditori non si sono rivolti ai Centri per l’Impiego dove avrebbero potuto accedere alle liste dei percettori i quali, al terzo rifiuto si sarebbero visti sospendere il sussidio?

Non lo fanno perchè avrebbero dovuto dichiarare che tipo di contratto offrono, quali condizioni, quale retribuzione. E sarebbe cascato l’asino.

Se non rispondono gli Italiani, risolviamo con gli Ucraini

Breve parentesi sulla recente proposta architettata inizialmente da un’organizzazione romagnola che risponde al nome di Riviera Sicura e che ha trovato larghissimo consenso non solo nel settore dell’accoglienza turistica costiera, ma anche da gran parte dell’industria “pesante”. La simpatica idiozia che prevede l’accoglienza e l’impiego di profughi provenienti dai territori in guerra, ieri è stata ufficializzata con squillo di trombe dal Comune di Lignano Sabbiadoro che ha riunito le migliori menti del territorio (il Presidente “mandatario” di Confcommercio, l’assessore alle politiche attive, la protezione civile e una delegazione di assistenti sociali) per partorire un progetto che “vuole essere di riferimento per tutti i Comuni”.

Invito tutti i nostri lettori a leggere quanto abbiamo scritto qualche settimana fa, quando queste geniali proposte iniziavano a circolare all’interno delle Associazioni, in cui abbiamo spiegato perchè queste proposte non solo non hanno nè capo nè coda, ma sono impraticabili e prive del minimo senso di etica.

Dal Reddito di Cittadinanza ai giovani che non fanno la gavetta, cambiano i capri espiatori ma il risultato è lo stesso.

E infatti, adesso che Confindustria è riuscita a farsi “girare” la paghetta del Reddito di Cittadinanza sotto forma di incentivo all’assunzione anche per contratti a tempo determinato, costringendo per legge i candidati ad accettare un lavoro da operaio a 70 km da casa a spese proprie anche solo per un mese di ingaggio, la narrazione ha trovato nuovi capri espiatori: i giovani che non vogliono fare la gavetta.

Quanto dichiarato da Alessandro Borghese e da Flavio Briatore non è niente di nuovo (è solo profondamente sbagliato). Lo scorso anno i giornali avevano già intervistato i due, offrendo loro non solo ampio spazio, ma anche ampio consenso.

Cosa è cambiato quest’anno?

Il salto in avanti di Alessandro Borghese: lavorare per imparare

Il cambio di passo nella comunicazione di Borghese è un tentativo di rivedere le regole del gioco facendo leva su una notorietà che “fa brand”. Ma fino a qui nessuno scandalo: i “garzoni di bottega” ci sono sempre stati e non si discute del fatto che chi desidera intraprendere una carriera professionale (per esempio) nella ristorazione, aver lavorato una stagione nel ristorante di un brand come Alessandro Borghese, fa decisamente la differenza.

Ma questo può avere un senso solo ed esclusivamente in due casi:
a) se il tuo datore di lavoro ha DAVVERO un’esperienza tale o una competenza universalmente riconosciuta tale da insegnarti un mestiere e permetterti di fare la differenza quando domani ti presenterai in un altro ristorante, rispetto a chi magari ha fatto una stagione al Lido Beppino scaldando focaccette ripiene di prosciutto confezionato.

b) se quella gavetta la si fa in funzione di un’assunzione stabile, per la quale il “tirocinante” investe il suo tempo per migliorare, imparare le regole della casa e poi portarsi a casa uno stipendio all’altezza del ruolo.

E in ogni caso, sebbene quel tempo appartenga ad un apprendista, va riconosciuto economicamente.

Viene però da dire che la stragrande maggioranza dei datori di lavoro non si chiamano Alessandro Borghese, spesso e volentieri utilizzano questi tirocinanti per mansioni tutt’altro che professionali, non hanno niente da insegnare e come è stato rilevato lo scorso anno da oltre 300 controlli effettuati dall’ispettorato del lavoro nella sola settimana di Ferragosto e confermato dai sindacati della Riviera, molti di quei lavoratori non solo non erano coperti da contratto e da tutele minime, ma venivano loro negate pause, riposi e turnazioni. Di eventuali assunzioni a lungo termine, non stiamo nemmeno a parlarne.

Pertanto, parlare di gavetta, mi sembra un perfido esercizio di stile pur di non usare la parola appropriata che in bocca ad un Presidente di Categoria non starebbe bene. E quella parola è “sfruttamento”.

Non è più sufficiente che se ne parli: lo hanno capito anche i giornali. La debàcle delle aziende sui social.

E’ cambiato il modo con cui anche i giornali(sti) più “obbedienti”, dopo aver riscontrato che i loro articoli postati sui social nella speranza di migliaia di like e di commenti ne ottenevano certamente tantissimi, ma di ben altro tenore rispetto a quanto sperato (insulti, minacce di disdetta di abbonamenti, commenti ironici e sprezzanti e spesso anche informazioni più attendibili da parte dei lettori rispetto agli autori stessi degli articoli), hanno cambiato strategia.

E così, da Wired al Fatto Quotidiano (quest’ultimo ha pubblicato un articolo molto letto ad opera di Charlotte Matteini che il nostro giornale ha avuto il piacere di ospitare a Nobilita Festival lo scorso anno, in cui abbiamo dedicato un intero panel di contro informazione sugli imprenditori che non trovano collaboratori, e siamo molto contenti di averle ispirato un articolo) negli ultimi due giorni non pochi giornali hanno invertito rotta, ricordandoci che il lavoro – anche se umile – va pagato, riconosciuto, valorizzato.

Benvenuti giornalisti, nel mondo del lavoro.

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