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La caccia al Russo e l’effetto Streisand

Correva l’anno 2003, i social non avevano ancora l’impatto che hanno oggi sull’informazione e sulle opinioni, gli smartphone non erano ancora troppo smart e al massimo spedivano SMS (ancora a pagamento e non inclusi nei piani tariffari).

Per intenderci: il primo Iphone è del 2007.

In quell’anno Barbra Streisand intentò un’azione legale nei confronti del sito web Pictopia, del fotografo Kenneth Adelman e altri al fine di ottenere un risarcimento di 10 milioni e la rimozione della foto della sua villa a Malibù che, a giudizio dell’artista, metteva in pericolo il suo diritto alla privacy.

La notizia della denuncia di Barbra Streisand ebbe l’unico risultato di moltiplicare l’attenzione sulla fotografia della sua villa (fra l’altro visibile già da tempo anche sulle mappe satellitari) la quale passò da poche migliaia a più di 420000 visualizzazioni nel mese successivo alla notizia.

L’inutile necessità di esserci

Quindici anni dopo il mondo dell’informazione è completamente trasformato. Il Corriere della Sera passa da otto milioni di copie vendute a poco più di trecentomila, gli smartphone sono computer veri e propri, le Persone esprimono opinioni in tempo reale sui social, in molti casi decretano la buona o cattiva reputazione di ristoranti, aziende, politici e istituzioni.

C’è da chiedersi come sia pensabile che nel 2022 ci sia ancora chi pensa che ciò che si scrive, si dice, si decide all’interno di contesti istituzionali e pubblici, rimanga ristretto al minuto circolo di quegli attori e la notizia rimanga riservata senza generare conseguenze comunicative di una qualche portata.

Nell’inutile necessità di esserci nella sola giornata di ieri si sono consumate due esempi eclatanti di “effetto Streisand”, guarda caso proprio nella città che anche durante la pandemia non si è di certo contraddistinta nella gestione dell’informazione e della gestione amministrativa (mi riferisco a quel primo #MilanoNonSiFerma col Sindaco Sala a fare da testimonial degli aperitivi, alle pressioni di AssoLombarda per non definire le zone rosse, fino alla gestione di camici e mascherine orchestrata dal Presidente di Regione).

Dostoevskij e l’idiota. La pezza è peggiore del buco.

Il primo episodio riguarda l’Università La Bicocca che “per vicinanza al popolo Ucraino” decide di sospendere un seminario su Dostoevskij. Si tratta di un ciclo di quattro lezioni tenuto da Paolo Nori, laureato in lingua e letteratura russa, scrittore, autore di oltre trenta romanzi fra cui l’ultimo “Sanguina ancora”, traduttore e collaboratore di diversi giornali. E per inciso, dal suo profilo facebook mi sembra abbia un’idea ben precisa della guerra e di Putin, tanto che un’Università poteva solo fregiarsi di poter avere nel proprio consesso un vero esperto di quella cultura.

Scrive Nori:

“Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia, ma anche essere un russo morto. Un russo che quando era vivo, nel 1849, è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita. Quello che sta succedendo in Ucraina sia una cosa orribile e mi viene da piangere solo a pensarci. Ma quello che sta succedendo in Italia oggi, queste cose sono ridicole: un’università italiana che proibisce un corso è incredibile. Anzi, in questi giorni bisognerebbe parlare di più di Dostoevskij”. 

Sta di fatto che la notizia ha fatto il giro d’Italia in 5 secondi facendo sprofondare la reputazione dell’Università Milanese e costringendo il Prorettore Casiraghi a fare un passo indietro. Anche se, nel tentativo di giustificarsi ha fatto un altro danno:

Ma chi l’ha detto che bisogna sempre sentire l’altra campana?

Il “politically correct” sta diventando l’arma perfetta di una certa “cancel culture”. A forza di cercare sempre il contraddittorio, si finisce per non cercarlo mai. Basti guardare alcune trasmissioni televisive in cui il contraddittorio è rappresentato quasi sempre da personaggi poco credibili, spesso imbarazzanti, con una grammatica pericolante, utili solo a rimarcare la valenza delle nostre tesi.

“Il giornalista è il cane da guardia del potere” è la frase da cui nasce il sostantivo “watchdog” che si trova in tutti i vocabolari a significare un giornalismo d’inchiesta e di approfondimento. Una frase che spiega perfettamente il ruolo dell’informazione che invece oggi utilizza il finto contraddittorio o il politicamente corretto per prendere posizione senza però assumersene la responsabilità.

Qui il giornalismo c’entra poco, ma è l’esempio utile per spiegare così sia successo anche in questa occasione, in cui il Prorettore per non assumersi la responsabilità di una posizione (quale, poi?) richiama l'”altra campana”: gli autori ucraini. Che non c’entrano nulla e non darebbero alcun valore aggiunto alla lezione, ma servono unicamente come scudo a certi Don Abbondio (i “tengo famiglia”, li chiamo io) che non hanno il coraggio delle proprie idee.

La faccia tosta (e la coerenza) del Ministero e del sindaco Sala

Fra coloro che hanno preso le distanze dalla Bicocca, c’è la Ministra dell’Università e della ricerca Maria Cristina Messa la cui dichiarazione evito di commentare e di mettere in relazione con quanto avvenuto nella scuola e nelle Università negli ultimi mesi:

“È molto importante che si tengano le lezioni di Paolo Nori, con l’appoggio dell’ateneo. Il Ministero dell’Università e della Ricerca promuove il fondamentale ruolo delle università come luogo di confronto e di crescita comune”

Da segnalare anche la posizione dell’Uomo per Tutte le Situazioni. Intervenendo alla presentazione del programma di Bergamo e Brescia Capitale della Cultura 2023 ha preso ferma posizione dichiarando “un errore sospendere quel corso” anche il Sindaco Sala. Che deve essere un omonimo dello stesso Sindaco Sala che il giorno prima ha chiesto la sospensione del Direttore d’Orchestra della Scala Valery Gergiev che infatti sarà sostituito da Riccardo Chailly.

L’inutile necessità di esserci.

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