Che “fase” è quella in cui un candidato/a non può sapere per quale azienda è stato/a contattato? E’ la fase in cui il recruiter ci prova, ma non ha un mandato. E dunque in qualsiasi momento un competitor, i candidati stessi o il ciclone Marianna potrebbero fargli sfumare l’opportunità.
Prendo spunto da un post di un giovane collega recruiter pubblicato sulla sua bacheca in cui si spiega in maniera molto precisa ed educata per quale motivo i recruiter non possono svelare ai candidati il nome dell’azienda cliente. Qui di seguito il post:
“Ottima analisi, come sempre” ha commentato un follower, mentre un nutrito gruppo di commentatori faceva notare quanto la pratica non sia propriamente corretta o quantomeno “trasparente”, dal momento che il/la candidato/a ha tutto il diritto di sapere in quali mani vada a finire il suo curriculum.
Aggiungerei che non è solo un diritto, ma una vera e propria tutela:
- e se il titolare/manager dell’azienda ricevente fosse in contatto con la mia azienda?
- se ci fosse un gentleman agreement fra le due aziende?
- se io avessi già fatto un colloquio in quell’azienda e non sono interessato a riproporre la mia candidatura (cosa di cui si dovrebbe di default informare il recruiter, anche solo per una questione di rispetto del tempo sia del candidato che del cliente)?
- se dall’altra parte ci fosse un professionista poco serio che “spiffera” al mio datore di lavoro o a un mio collega che “ho inviato un cv per una posizione nella sua azienda”?
I recruiter seri lavorano con contratto di esclusiva
Il motivo per cui spesso molti operatori del mercato del lavoro non rivelano fin dall’inserzione chi sia il titolare dell’offerta di lavoro dipende esclusivamente dalla relazione fra il recruiter e l’azienda.
La spiegazione di Antonio Ardimento che pecca per passione e gioventù, (ma anche della poca formazione interna che alcune agenzie prestano al proprio personale interno) a cui ho ribattuto in maniera (giuro!) cordiale ed educata, fa acqua da tutte le parti e rivela un solo ed unico tema: chi non lavora in esclusiva deve tutelare il SUO lavoro. Evidentemente devo essere stato talmente convincente se la mia risposta è sparita dopo pochi secondi e io non abbia più accesso al profilo di Antonio. Ed è un vero peccato che fra Persone che lavorano nello stesso ambito non ci sia voglia di confrontarsi, tenendo conto che più volte nelle risposte (a cui non ho più accesso) Antonio ha fatto riferimento al concetto di “trasparenza”. Sempre prima di bannarmi, trasparentemente.
Pertanto, proverò a spiegare perchè ritengo profondamente sbagliato non informare i candidati sul nome dell’azienda e perchè le aziende che lavorano in esclusiva ottengono risultati migliori.
I recruiter che lavorano in esclusiva stabiliscono con il proprio cliente una relazione di fiducia. L’esclusiva testimonia che l’azienda ha scelto te e soltanto te per portare a termine una selezione. Di conseguenza, apparire in chiaro sulle offerte di lavoro costituisce un valore aggiunto straordinario non solo per il recruiter che si posiziona sul mercato con un brand ben visibile, ma anche per l’azienda che in questo modo comunica a competitor, territorio, clienti e fornitori la sua crescita, nonchè un’informazione positiva (“sto assumendo”).
Valore aggiunto anche per i candidati che eviteranno di proporsi per un’azienda in cui magari hanno già fatto un colloquio, per la quale magari hanno già lavorato, o magari per un brand che non amano o a cui non sono interessati. Oppure, informeranno il recruiter circa la necessità di un livello di privacy più alto in quanto c’è in atto una relazione fra quell’azienda e il suo attuale datore di lavoro.
La scorsa primavera ho chiuso una selezione per la multinazionale Contraload. Il candidato scelto lavorava per un fornitore dell’azienda. Opportunamente informati, sia io che il mio cliente abbiamo gestito la selezione con grande discrezione e nella fase finale il cliente ha trovato la modalità giusta con il suo fornitore per evitare una crisi di relazione non solo fra le aziende ma anche nei confronti del candidato che è uscito nei modi e nei tempi più idonei per tutelare la professionalità di tutti gli attori in gioco. Con grande trasparenza.
Bypassare la società di selezione è un atto di sfiducia. Ma è solo un retropensiero.
E’ evidente che se la relazione fra recruiter ed azienda è genuina, non c’è alcun rischio che i candidati bypassino la società di selezione o che il cliente si sovraccarichi di cv. L’inserzione riporterà la mail del recruiter, mentre sul sito dell’azienda cliente verrà indicato che la selezione è affidata alla società “XYZ” a cui inviare i curriculum.
Naturalmente qualche candidato – scottato da esperienze poco piacevoli con i recruiter – proverà a fare il salto con l’asta, ma verrà instradato dall’azienda sul percorso corretto. E’ sufficiente una mail automatica preimpostata. Posso garantire che anche nella mia ultima selezione per FICO EATALY WORLD, su 638 cv pervenuti nel portale di SCR, solo 6 sono quelli inoltratimi dall’azienda a cui i candidati avevano scritto direttamente. E di questi, 4 avevano già inviato correttamente il cv a SCR.
Un contratto di esclusiva non è più costoso e garantisce la qualità della relazione. E del risultato.
Per i recruiter il contratto di esclusiva è fondamentale per tutelare la qualità del proprio lavoro. Esperienze precedenti mi hanno costretto a giustificarmi con i candidati per procedure svolte da altre società di cui non ero fra l’altro tenuto a rispondere (risposte non pervenute, appuntamenti sbagliati, feedback mancati).
Oltretutto, un contratto serio prevede almeno due tranche: una a presa mandato (o a presentazione candidati) e l’altro alla chiusura della selezione. Pertanto, nessuna azienda avrebbe interesse a “completare in proprio” una selezione, strappandola all’agenzia.
Per le aziende la relazione di esclusiva è indice di attenzione nei confronti dei futuri collaboratori e di serietà, già fino dal momento dell’ingaggio. Che idea dà un’azienda ad un candidato che trova la stessa offerta in mano a cinque o sei agenzie? O peggio, che viene contattato da agenzie diverse? Ve lo dico io: di estrema confusione, ma soprattutto di insicurezza.
Chi lavora in questo modo, affidando a pioggia la stessa selezione, è un’azienda che ha “premura” di trovare il candidato puntando alla quantità e non alla qualità. E’ un’azienda che non fidelizza, non crede che un solo fornitore possa garantire il risultato e che non sa definire gli obbiettivi con i suoi partner. E’ un’azienda che non sceglie, ma che punta esclusivamente al risultato, magari al costo più basso, senza preoccuparsi dei valori che trasmette e dell’immagine che offre all’esterno. Minando fin dal principio la relazione con i suoi futuri dipendenti.
Per carità, io parlo di figure manageriali. E’ evidente che quando si lavora sui “grandi numeri” e sulla “bassa specializzazione”, tutto questo discorso va a farsi benedire.
Quando è opportuno “blindare” l’azienda.
Tuttavia, ci sono alcuni casi in cui non è proprio possibile evidenziare il brand dell’azienda che sta cercando. E’ il caso in cui si stiano cercando figure strategiche (Amministratori Delegati per esempio), o siano in corso fusioni o acquisizioni, o anche nel caso in cui sia ancora presente in azienda la persona che si vuole sostituire o laddove ci siano figure papabili in azienda per il ruolo ricercato, ma si vuole valutare anche qualche candidatura esterna.
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