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Il tribunale dei social, solo quando conviene.

Qui sopra, il titolo dell’ articolo di Agnese Pini, direttrice del Quotidiano Nazionale

Mi segnalano un articolo di Agnese Pini, direttrice dei giornali del Gruppo Monrif (Nazione, Giorno, Resto del Carlino, Quotidiano Nazionale), in cui vengo tirato in ballo (anonimamente: “un utente Facebook”) in merito al “caso” che proprio uno dei suoi giornali ha scatenato e che ha tenuto banco per tutta la settimana.

Sto parlando della non-notizia della bidella che da Napoli tutti i giorni si reca a Milano giustificando questo tran-tran con l’impossibilità di trovare una sistemazione a Milano ad un affitto sostenibile in relazione allo stipendio percepito.

Non credo sia necessario ripercorrere tutta la storia, come è stato fatto nel redazionale nel tentativo di tenere alta l’attenzione di una notizia ormai derubricata a mème su quegli stessi social che hanno fatto la fortuna dell’articolo e che ora vengono imputati di “trasmettere odio”.

Troppo facile spostare l’attenzione (e la responsabilità) da un articolo che ha come unico merito quello di aver scatenato migliaia di interazioni a favore di clickbait, agli utenti brutti e cattivi sempre pronti a giudicare.

Agnese Pini ritiene che in particolare il mio post su Facebook sia il motore scatenante degli “haters” del web:

la mattina dopo, giovedì, un utente Facebook pubblica un post in cui sostiene di aver sentito, durante un’importante trasmissione radiofonica nazionale, un’intervista alla preside del Boccioni secondo cui Giugliano avrebbe lavorato solo due giorni dall’inizio dell’anno scolastico. Poco importa che questa intervista, semplicemente, non fosse mai avvenuta (al punto che lo stesso utente sarà costretto a modificare il messaggio qualche ora dopo): in men che non si dica quel post viene rilanciato centinaia e poi migliaia di volte. In men che non si dica, insomma, il vento della calunnia è già diventato un tornado.

Per puro orgoglio personale ci terrei a specificare alla direttrice che – per quanto “di serie B” – sarei un suo collega giornalista ed editore di un giornale e non un “utente facebook” e che i miei contatti sono rintracciabili ovunque (oltre ad essere “amici” su facebook) (Errata: ho appena scoperto che mi ha tolto il contatto).

A dimostrazione del grande lavoro che i quotidiani del Gruppo Monrif sanno fare sulle fonti.

L’unica correzione al mio post è stato spostare il soggetto della telefonata che è stata fatta all’Istituto Boccioni, non “da Alessandro Milan” ma “dalla redazione della trasmissione di Alessandro Milan”. La sostanza non cambia, ma ci tengo a non dire fesserie se cito qualcuno, soprattutto dopo averlo taggato opportunamente, dandogli la possibilità di controbattere. La registrazione non è mai andata in onda e non ho mai affermato il contrario.

La non – notizia e le fonti inattendibili

Il mio post su facebook credo sia fin troppo chiaro, questa è la classica non-notizia che però “intercetta” due temi di grande attualità: il modo con cui si scelgono e poi si assegnano le cattedre e l’insostenibilità degli stipendi rispetto al costo della vita di una città come Milano.

Ma se il direttore decide di dare spazio ad una notizia parzialmente verificata, avrà avuto le sue ragioni. Però non deve piccarsi se le si fa notare che le fonti a supporto sono troppe, troppo diverse fra loro, poco attendibili. Una professoressa dell’istituto si è sbilanciata affermando che con gli altri professori stanno cercando di dare una mano per sistemare la bidella, dopodichè la scuola ha ordinato il più serrato NoComment (e già questo la dice lunga) e nessuno è stato più in grado di avere informazioni.

I giornalisti che si sono recati fuori dalla scuola cercando di parlare con qualcuno del personale scolastico, o sono stati rimbalzati o – come mi raccontava Alberto Salmè di TPI – hanno ricevuto risposte discordanti.

Sono stato chiamato dagli amici giornalisti di Wired, di Will, di The Post Internazionale nella speranza che io avessi qualche informazione in più. Ma a parte ciò che mi è stato detto mentre ero in trasmissione a Radio24 (ovvero che “qualcuno” all’interno della scuola che non si è qualificato, abbia dichiarato che la bidella non si vedeva da giorni), io non sono in grado di dire.

E ciò che ho scritto è tutt’altro che “un venticello di calunnia”.

Cosa ha dato fastidio alla direttrice del QN?

Non mi sento particolarmente entusiasta di comparire nell’articolo del Quotidiano Nazionale come “calunniatore” e speravo di conoscere Agnese Pini in altre occasioni e per altri motivi.

Però una replica a tanta sensibilità nei confronti dell’odio sui social è necessaria: da tre anni a questa parte Nazione, Giorno e Resto del Carlino sono fra le testate più attive nell’ ospitare quintali di articoli riguardanti imprenditori che non trovano lavoratori. Titoli improbabili (ma apprezzati dal clickbait) di imprenditori che “a causa del Reddito di Cittadinanza” una volta o dei “giovani che non hanno voglia di lavorare” un’altra, dichiarano di assumere i figli degli amici o di chiudere bottega.

Mai una verifica, ma soprattutto mai una domanda. Più volte su SenzaFiltro e sul web avevo avuto modo di segnalare questi articoli, facendo notare che le dichiarazioni dei personaggi intervistati non trovavano mai riscontro in alcuna offerta di lavoro pubblica nè sui social, nè sui siti delle loro aziende, nè tantomeno sulle piattaforme di annunci di lavoro. Uno dei motivi per cui Raffaele Marmo, uno dei caporedattori del giornale, mi bannò su Facebook in seguito ad una critica a un articolo di due pagine all’ennesimo vice presidente del solito sottogruppo dell’associazione di categoria di turno senza porre una sola domanda, ma lasciando che l’intervistato raccontasse le mirabolanti imprese della sua azienda in un mondo di divanati gratificati dal reddito di cittadinanza.

Sui social quegli articoli vengono ribattuti continuamente scatenando migliaia di commenti al vetriolo, molto spesso al limite del buongusto e della più colpevole disinformazione. In quei casi il tribunale del popolo non dà poi così fastidio.

Anche in questa vicenda c’è da chiedersi come mai negli articoli comparsi questa settimana sui Quotidiani del Gruppo Monrif (e ribattuti poi tali e quali da gran parte della stampa più rinomata), nessuno si sia preso la briga di verificare i costi degli abbonamenti che sono di ben altro tenore rispetto a quelli dichiarati? Sarebbe bastato questo per far cadere tutto l’impianto della non – notizia. Così come non si capisce come mai le foto che ritraggono Giuseppina – che dichiara un abbonamento con Trenitalia – siano quasi sempre a bordo di Italo!

Lo ha fatto David Puente su Open, e lo ha fatto BUTAC (fra i tanti siti, quelli più noti) e alla direttrice Agnese Pini, ha dato fastidio.

Il passaggio di livello avviene nel pomeriggio di giovedì. Quando addirittura alcuni giornali online dedicano articoli di “fact-checking” alla versione di Giuseppina Giugliano. Peccato che in questi articoli vengano riportate solo dichiarazioni anonime. Così è tutto un: fuori da scuola si dice, si vocifera, si racconta che Giugliano non va a lavorare. Ora, deve essere sfuggito che accusare qualcuno senza prove – “si dice, si mormora, si sussurra che Giuseppina Giugliano non lavori” – è diffamazione.

Certo, un articolo in cui gli studenti del liceo difendono la bidella fa molto più “Libro Cuore” (e tanti click) che chiedere con precisione al dirigente scolastico a quanto ammontano precisamente le assenze e i permessi. Così come anche fotografare quell’abbonamento da 400 euro avrebbe aiutato a rendere la notizia più credibile e si sarebbe chiusa qui ogni polemica. Ma nel giornalismo come in un meeting aziendale, in mancanza di dati (e di fatti) si è solo “una persona con un’opinione”.

Agnese Pini nel suo redazionale dichiara che l’articolo voglia andare oltre, mettendo in luce la situazione degli affitti e degli stipendi. Peccato che a parte cinque righe a corredo, non ci sia nulla sul tema degli affitti a Milano, sull’insostenibilità di un costo della vita al di sopra degli stipendi medi di una città che si dichiara “capitale del lavoro” ma che sta rivelando tutte le sue lacune. Nessuna intervista all’amministrazione, al Sindaco Sala, a chi ha deciso di lasciare la città a causa della sua incapacità di accogliere.

Ma un giornale che ha due testate su quattro ben radicate in Lombardia e un gruppo editoriale che ha investimenti alberghieri a Milano, può permettersi di fare tutte quelle domande?

Onestamente, il pippone gratuito sul “tribunale del popolo che decreta le condanne” la direttrice se lo poteva risparmiare, visto che è lo stesso tribunale che garantisce migliaia di click ai suoi giornali e tiene alte le entrate pubblicitarie.

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