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Fascisti per un giorno

Nel Paese in cui è diventato INDISPENSABILE mettere un asterisco nell’identificazione dei generi anche alle convocazioni delle riunioni di condominio (gentili sig.r* condomini…) e dove è diventato impossibile fare una sola legittima domanda anche se posta in maniera puramente interlocutoria senza passare automaticamente per NoVax, misogini, razzisti, a seconda dell’argomento su cui si ha la sfortuna di esporsi, altrettanta delicatezza – è evidente – non appartiene al sempre più vasto mondo dei socialmediacosi e dei comunicatori in generale, categoria in cui sembra eccellere il nostro Paese per esperti e specialisti.

E pensare che credevo fossimo bravi solo a costruire motori e impiattare specialità regionali.

La gragnola scatenatasi ieri sui social all’indirizzo del pastificio La Molisana non è solo un esempio di violenza cieca che non oso pensare che effetto avrebbe prodotto se anziché dietro lo schermo di un computer si fosse espressa fisicamente, di fronte ai cancelli dell’azienda, ma a mio avviso nasconde delle emergenze più sottili e infide.

La responsabilità del giornalista e l’importanza delle fonti

Intanto, la fonte della notizia: Niccolò Vecchia, giornalista di Radio Popolare, il quale poche ore dopo aver sollevato il casino, stranamente cancella tutto dal suo profilo facebook e si va a nascondere avendo probabilmente capito lui per primo il casino innescato (non escludo che l’azienda – e me lo auspico – mentre goffamente cercava di riparare sui social, nel frattempo gli abbia spedito una mezza dozzina di diffide), mentre la Molisana continua a ricevere insulti, minacce e un crollo reputazionale umanamente e tecnicamente ingestibile. Al punto tale che in giornata vengono rilasciate dichiarazioni che sono evidentemente frutto di una non strategia da parte di chi mai avrebbe pensato di doversi difendere da una shit-storm di questo genere.

Lo sciame fa un salto di livello quando è intercettato e rilanciato da Niccolò Vecchia il quale nel condividere con i suoi follower la schermata descrittiva delle Tripoline scrive sul suo profilo Facebook un attacco  contro l’azienda, la invita a scusarsi, minaccia pubblicamente di smettere di comprarla, chiede di cambiar nome ad un formato storico di pasta. Non è il solito post di odio ma un contenuto circostanziato, che in qualche misura conferisce più autorevolezza alla polemica che da lì rimbalza malamente su Repubblica, su Ansa, su altri quotidiani e si ingigantisce basandosi letteralmente sul nulla e via via perdendo qualsiasi contenuto a vantaggio di puro distillato di odio.

tratto dall’unico articolo che vale la pena leggere sull’argomento

Se il giornalista fosse stato minimamente corretto (o minimamente giornalista), prima di scrivere una stupidaggine del genere si sarebbe accorto nell’ordine che:

  • anche Coop, brand notoriamente di destra produce le Tripoline, così come De Cecco, Carrefour, Divella e quasi tutte le altre marche di pasta, alcuni dei quali – incredibilmente – nella giornata di ieri hanno deciso di far sparire le immagini in questione. Bella prova di democrazia dettata dai social. Tanto da farsi ridere dietro anche dal Secolo d’Italia (questo si, davvero di destra)!
  • quel tipo di pasta (al di là di una descrizione del tutto opinabile se sia apologia di fascismo o piuttosto il riferimento a un momento storico, considerando che basterebbe la quinta elementare per capire che il soggetto nella frase “L’Italia negli anni Trenta celebra il colonialismo” è per l’appunto “l’Italia” e non “La Molisana”. Descrizione che serve a spiegare come sono nati quei formati di pasta che fra le altre cose non ha inventato la Molisana e che – come detto sopra – sono prodotti da quasi tutte le altre aziende di pasta.
  • Comunque sia è un dato di fatto che il colonialismo c’è stato e trovo più grave negarlo, che affidarne banalmente la memoria allo storyteller ubriaco di turno di una delle più costose agenzie di comunicazione di “lassù, dove il marketing è di casa”.

Se non sei nel “thread” non sei nessuno.

La necessità di “cavalcare” l’onda è quasi un obbligo, come spiegano i Guru del digitale e i SocialMediaCosi che sicuramente ieri hanno aggiornato le slide dei loro corsi per wannabe con questo ennesimo “epic fail” (quanto godono quando possono inneggiare all’epic fail, salire sulla cattedra e dire DOPO, come avrebbero fatto LORO!).

Tuttavia, quello che non spiegano in nessun corso di comunicazione sui social è che quando si ribatte o si commenta una notizia ci sono due regole per evitare di fare figure meschine:

  • accertarsi che la notizia sia vera e andare alla fonte (ma chi ha più tempo di leggere? Oggi gli articoli si commentano dal titolo!)
  • assumersi la responsabilità di quello che scrivi e che condividi.

Invece è diventata più importante la necessità di esserci ed essere fra i primi, per raccogliere tanti like e dimostrare di essere autorevoli nel campo. Il problema è che quello NON è il campo di quasi nessuno fra coloro che ieri hanno insultato, commentato, odiato e invitato addirittura al boicottaggio.

Bruttissima figura invece per coloro che alla stregua di un qualsiasi schiumatore di bava del web, abbia perso l’occasione per differenziarsi, essendo per l’appunto “del campo”.

Dietro un’azienda ci sono lavoratori

Troppo facile la leggerezza con cui si invocano boicottaggi e si diffamano singoli o aziende. Soprattutto in un caso come questo, montato dal nulla, ci dimentichiamo troppo spesso quante famiglie vivano grazie a quelle imprese. E in ogni caso, le dichiarazioni di un singolo, fosse anche l’Amministratore Delegato dell’azienda, soprattutto se gravitano nell’area del personale (come nel caso di Barilla o recentemente quello di Guzzini), non dovrebbero mai ricadere su chi quelle considerazioni non solo non le condivide, ma probabilmente non le può nemmeno gestire.

Non mi sembra di aver visto nessuna levata di scudi contro le aziende che invece vendono armi alle dittature (qualcuno è al corrente che l’Italia fornisce armi alla Libia e all’Egitto?) o fabbricano prodotti nocivi alla salute.

Alla fine, i fascisti da che lato della barricata stavano?

Fra le prime a prendere le difese de La Molisana è stata l’Associazione Nazionale dei Partigiani, che notoriamente non ci va mai troppo leggera quando si tratta di farsi sentire in tema di apologia di fascismo. Anche qui: sarebbe bastata una ricerca elementare per scoprire che la storia della Molisana è una storia che ha profonde radici a sinistra:

La difesa arriva anche da parte di Michele Petraroia dell’Anpi Molise: “Per chi conosce la storia della famiglia titolare del Pastificio ‘La Molisana’ non possono sorgere incomprensioni su un tema così delicato. I nazifascisti ritirandosi da Campobasso distrussero la loro azienda e nel dopoguerra come spesso ricordava l’on. Alfredo Marraffini del Pci, il capostipite della famiglia Ferro partecipava alle sottoscrizioni della Festa de L’Unità. In tutti i casi è opportuno che ‘La Molisana’ chiarisca, se necessario anche in modo più fermo, la propria totale estraneità ad ogni riferimento col fascismo”.

Rifletto dunque su quanto avvenuto nella giornata di ieri. Da una parte un omino minuscolo che pensa di fare il fenomeno scoprendo che sulla descrizione di un pacchetto di pasta c’è una “evidente apologia di fascismo” e accende una miccia esplosiva che mette a repentaglio la reputazione di un’azienda storica, del tutto italiana, con un passato evidentemente in netto contrasto con gli insulti a cui è costretta a rispondere durante tutta la giornata. Oltretutto facendo goffi capitomboli nel tentativo di arginare qualcosa di assolutamente imprevisto, perchè inesistente (lo scaricabarile sull’agenzia, ammettiamolo, è stata una ingenuità che ci si poteva risparmiare).

Dall’altra migliaia di haters (ah, adesso non vi piace questa parola, vero?) che non hanno ritenuto opportuno fermarsi un attimo per capire se la caccia alle streghe, questa social Inquisizione di massa, avesse un fondamento.

E infine, l’epilogo più triste e imbarazzante. Il vero e proprio epic fail è quello di chi ha costretto un’azienda a scusarsi per un delitto mai compiuto, a piegare la propria dignità alle regole di un mercato impazzito che non ha più rispetto per le parole, per la logica, l’approfondimento e soprattutto per la ragione:

Da che parte della barricata sono i fascisti, dunque?

E quanti, oggi saranno capaci di chiedere scusa?

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