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Carriere Dis-Orientate

Manager che non riescono a ricollocarsi in seguito ai tagli del personale. Ma anche l’insoddisfazione di un posto di lavoro che non ti riconosce la professionalità o non ha più progetti di crescita per il tuo futuro. Fusioni, cessioni e trasferimenti di sede che lasciano a casa decine di Persone valide, con background professionali di tutto rispetto e una fedeltà all’azienda perpetrata negli anni che oggi diventa un boomerang, perché quegli anni sono diventati anche anagrafici.

Gentile dott. Danzi, oggi l’azienda mi lascia a casa. Avrei fatto meglio ad accettare quell’offerta 5 anni fa. E invece mi sembrava un tradimento nei confronti di chi ha creduto in me e mi ha portato fin qui. 

Mi diceva poco più di due settimane fa Sandro, marketing manager di uno dei brand più importanti nel settore dell’abbigliamento sportivo.

Queste e molte altre situazioni, hanno trasformato il caro vecchio outplacement – per molte aziende un’operazione di greenwashing nei confronti dei propri dipendenti al fine di chiudere velocemente un rapporto di lavoro promettendo percorsi accompagnati di sicuro successo – in consulenza di carriera.

Di certo il successo è garantito per chi eroga la consulenza, considerando quanto il mercato sia ricettivo quando si parla di cercare un lavoro e quando il target è composto da primi livelli, quadri e dirigenti. Stranamente l’offerta è quasi nulla per i target a basso valore economico (neo laureati, tecnici e dipendenti operativi), che vengono abbandonati a barocchi Centri per l’Impiego e Sportelli del Lavoro.

E’ altrettanto vero che molti manager se la sono andata a cercare: quante volte siete stati invitati a eventi di networking, incontri o workshop di aggiornamento e avete pensato che tanto a voi non sarebbero serviti? Quante volte avete rifiutato l’appuntamento con un fornitore per poi farvi vivi solo nel momento del bisogno come se foste amici di vecchia data?

Quali sono i costi dell’orientamento professionale?

Un business “nuovo” o quantomeno “rinnovato”, a cui si stanno dedicando prevalentemente liberi professionisti (i cosiddetti “career coach”) e Agenzie per il Lavoro.

Quando si sottoscrive un contratto con la società (o il consulente) di orientamento, quasi sempre stiamo parlando di percorsi che variano da 1500 euro (insostenibile) a 5000 euro (la cifra più coerente in riferimento ai servizi proposti a catalogo) fino a 9000 euro che a mio giudizio è una cifra esorbitante per un percorso di affiancamento di questo genere.


In alcuni casi, le società di consulenza “splittano” l’importo affinché il candidato scelga solo uno o più servizi rispetto a tutto il percorso. Un sistema che sembra più conveniente per gli obbiettivi di fine mese del consulente che non per quelli di ricollocamento del candidato.

Quali programmi ?

Ho chiesto ad alcuni candidati che mi hanno contattato per avere un suggerimento in merito alla scelta del migliore percorso di orientamento, di inviarmi i contratti proposti per verificare insieme l’allineamento della proposta con le loro esigenze.

Per quanto si pubblicizzi quasi sempre un affiancamento personalizzato, l’offerta è mediamente standard. In questo caso stiamo parlando di un programma completo che prevede un’analisi iniziale delle competenze, elaborazione del cv e attività di personal branding.

per procedere successivamente alla strategia operativa di individuazione della giusta offerta di lavoro nella giusta azienda.

Niente da dire sull’elaborazione del programma, molto completo e ben integrato in un percorso di “rigenerazione totale” del candidato.

Analizzando questa seconda offerta, il programma proposto è a larghe linee identico al precedente e a tutti gli altri che ho ricevuto in visione:

Anche qui, la promessa è di un affiancamento personalizzato, ma la proposta è generica.

Quali consulenti?

Un altro aspetto importante e che solo in una di queste proposte abbiamo trovato espresso in chiaro, è il nome del/la consulente che seguirà il candidato in questo percorso. Le società che abbiamo analizzato hanno una presenza capillare o si presentano come strutturate. In tal caso si presume abbiano più consulenti dedicati a questa attività e di conseguenza i candidati devono avere l’opportunità di scegliere il consulente più idoneo alle proprie necessità. Un consulente che abbia skills inferiori a quelle del candidato nell’uso dei social network (basterà verificare i profili social per capire se questi consulenti hanno un sèguito, una reputazione, la capacità di creare contenuti o meno), oggi canali indispensabili per il proprio personal branding, non può essere la Persona che ci aiuterà in questo percorso. Da valutare – non sempre necessario, ma in alcuni casi indispensabile – che il consulente a cui siamo affidati conosca approfonditamente il nostro settore o quantomeno, il nostro ruolo professionale.

Di sicuro, un fattore da considerare è la rete professionale del consulente. Un consulente con una rete scarsa, mal targettizzata e non aggiornata, non vedo come possa poi veicolare informazioni utili per mappare il percorso di orientamento del proprio “assistito”.

Ergo: chiedete sempre di conoscere il nome del consulente che vi affiancherà.

A chi serve l’orientamento professionale ?

Alla fine di questa panoramica, c’è da chiedersi se questi percorsi siano efficaci per chiunque o se troppo generalisti. I programmi propongono, com’è giusto che sia, un’iniziale analisi di competenze o quantomeno un analisi del profilo professionale per conoscere meglio il candidato e capire quali caratteristiche “accelerare”, quali migliorare, quali stimolare.

Però poi lo svolgimento, sulla carta è identico per tutti: che tu sia un mago del networking o un orso polare, il re dei social network o il genio del fax, un animale da palcoscenico o il campione mondiale di scacchi a distanza.

Per semplificare al massimo, ritengo che chi si riconosce in questa descrizione, non abbia necessariamente bisogno di affidarsi a questi percorsi:

  • candidati in posizione di middle e top management, con una buona attività sui social network e una discreta rete professionale, che da sempre coltivano attività di networking prevalentemente off line e una curiosità al di sopra della media con una buona reputazione generale e una predisposizione ad incontrare clienti e fornitori. Nonché fortemente attratti dalle novità e dagli stimoli esterni, tanto da avere come dote caratteriale naturale la voglia di conoscere Persone e situazioni.

Queste Persone non hanno tempo da perdere. Una full immersion di un paio di giornate per analizzare il profilo generale e settare un “calendario operativo”, è più che sufficiente.

A questi, suggerisco di setacciare la propria rete e impiegare il primo mese investendo in qualche pranzo o aperitivo (magari finché ancora siete “attivi”) con Persone di riferimento (per es.: manager appartenenti alla propria rete su Linkedin) a cui chiedere la possibilità di confrontarsi su alcuni aspetti del proprio lavoro e su come questo sta evolvendo per esempio nel proprio settore.

E’ l’occasione per reperire informazioni, scambiare qualche nome/contatto, far conoscere la propria situazione senza naturalmente (attenzione!) esporsi. Il rapporto deve essere alla pari e la vostra richiesta di incontro non deve minimamente apparire come un’elemosina. Siete professionisti che contattano altri professionisti. Non saranno questi i contatti che risolveranno la vostra situazione di difficoltà.

A questi candidati inoltre suggerisco di frequentare incontri e meeting in cui (e qui il lavoro è effettivamente più impegnativo) i contenuti siano la vera motivazione dell’incontro, evitando quelle occasioni-marchetta succhiatempo o simposi autoreferenziali di consulenti e aziende in cerca di visibilità. In questo modo non solo potreste conoscere Persone interessanti, ma anche aggiornarvi su temi attuali, in chiave più moderna.

E tutti gli altri?

Discorso profondamente diverso per chi si riconosce in questo profilo:

  • Impiegati di primo livello, quadri e dirigenti che non hanno mai ritenuto necessario uscire dalla propria comfort zone. Persone infastidite dai social network e in generale chi confonde il personal branding con la “necessità di apparire”. Frequentatori solo della propria Associazione di Categoria (o al massimo agli incontri dell’Associazione Alumni della Business School che hanno frequentato 10 o più anni fa) o a Convegni in cui vengono chiamati come speaker. Salvo poi andare via al termine del proprio intervento senza ascoltare nessuno degli speaker successivi (in genere a causa “di una riunione importante” o “di un cliente” o di un generico “imprevisto”). Aggiungerei – e qui fatevi una bella analisi di coscienza – tutti coloro che hanno confuso la responsabilità con il potere, che hanno stressato il proprio ruolo nella relazione con colleghi, fornitori, collaboratori, che hanno sempre pensato di non avere bisogno di nessuno convinti che fossero gli altri ad aver bisogno di loro e coloro che solo adesso, nel momento della necessità, si ricordano di quanto siano importanti “le relazioni”.

Ecco, questi mettano in calendario almeno 12 mesi di orientamento professionale, perchè difficilmente riusciranno in tempi più brevi a rifarsi una reputazione.

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