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Alla Fiera dell’Est per due soldi una cameriera l’Italia comprò

Strano Paese l’Italia, da sempre al centro di polemiche e vere e proprie battaglie politiche sull’inclusione di rifugiati. Un Paese in cui almeno una volta a stagione c’è un barcone che si rovescia, una strage di adulti e bambini ripescati sul fondo del mare in fuga da guerre e torture ma che tuttavia stringe accordi per “contenere” quegli approdi e si gira di spalle per far finta di non sapere che coloro a cui hanno stretto la mano sono gli stessi carnefici da cui quei disperati fuggono e a cui li stiamo riconsegnando.

Ma non è così strano. È un Paese miseramente uguale a tanti altri in cui il profitto ha la priorità su qualsiasi tipo di coscienza al punto tale che anche i più affezionati testimonial dell’”Aiutateli a casa loro”, come il Ministro leghista del Turismo Massimo Garavaglia, diventano improvvisamente promotori di una rinnovata sensibilità umanitaria in combinato disposto con FederQualcosa e AssoPigliaTutto, che spinge all’accoglienza tout court. E così in un attimo cadono tutti i cavilli burocratici, si alza la tapparella dei flussi migratori che era rimasta mezzo abbassata da anni per garantirsi i voti di un elettorato con idee molto chiare a proposito, si moltiplicano i siti realizzati in una notte in cui si invitano albergatori e privati a offrire ospitalità e lavoro.

Stiamo parlando dell’attivismo generalizzato con cui “un’idea” partita da una piccola associazione para sindacale e para politica (Riviera Sicura) è diventata una vera e propria attività virale cavalcata da altrettante associazioni di categoria, partiti politici, Presidenti di Regione fino all’ultimo dei bottegai in cerca di visibilità: “ospitiamo gli Ucraini e offriamo loro un lavoro per risolvere l’annosa questione dei lavoratori introvabili

La solidarietà è un’altra cosa

Ma un’idea del genere, per favore, non confondiamola con la solidarietà. Non confondiamola con chi sta affittando pullmini per andare a prendere le Persone ai confini e a metterle in sicurezza, a chi si sta spendendo in prima Persona per raccogliere fondi, abiti e generi di prima necessità, a chi sta sostenendo silenziosamente piccoli imprenditori e a chi sta offrendo ospitalità gratuita.

Un’idea partorita con ben altri obbiettivi: risolversi un “problema interno” sapendo che difficilmente in un Paese come il nostro, figlio di un’ipocrita retorica cattolica, avrebbe mai trovato ostacoli ideologici e anzi, avrebbe trovato grande visibilità personale e un seguito immediato. Come è per l’appunto successo.

C’è una chiara regia – almeno per me – dietro a uno scollamento culturale così evidente, orchestrata da quel tipo di imprenditori che dalle tragedie trova sempre un beneficio, che siano coloro che sghignazzavano la notte del terremoto a L’Aquila immaginando gli appalti della ricostruzione, a chi da anni specula sui centri di accoglienza in cui vengono parcheggiate per mesi quelle anime che arrivano dal mare e che rappresentano un introito giornaliero di tutto rispetto, a cui nessuno si sogna di mobilitarsi per un letto in famiglia, in albergo ed un posto di lavoro prêt-à-porter con tanto di sito istituzionale a corredo per facilitarne domanda e offerta.

Questa regia fa capo alla politica e ad ogni singola associazione di categoria che negli ultimi anni abbiamo visto lamentarsi tutti in un unico stridente motivetto: “Non si trovano lavoratori“. Peccato che le prove del coro siano sempre andate deserte e alle rarissime domande di qualche giornalista ancora non estinto che ha avuto l’ardire di chiedere le condizioni contrattuali e in che modo stessero cercando quelle figure, a fronte di una così vasta sovraesposizione sulla stampa locale e in qualche arena televisiva per massaie pomeridiane, non corrispondeva alcuna offerta di lavoro su portali, canali specializzati, social e neppure sui siti stessi delle aziende.

Una specie di greenwashing dopo anni di polemiche sui giornali in cui la narrazione dei giovani che non vogliono lavorare o dello spauracchio del Reddito di Cittadinanza ha avuto come unica vittima la credibilità degli intervistati e delle loro dichiarazioni traballanti.

Perchè, parliamoci chiaro: in un Paese dove la disoccupazione è al 9% (e quella dei giovani al 26%), dove durante la pandemia abbiamo perso un milione di posti di lavoro non garantiti da cassa integrazione, blocco dei licenziamenti e ristori, i motivi per cui le aziende non trovano dipendenti possono essere solo imputabili a una ricerca totalmente improvvisata e coadiuvata da un passaparola a basso costo, condizioni di lavoro e contratti inadeguati.

E non ultimo ad una cultura del lavoro in cui il grosso dell’imprenditoria più importante, quella compresa fra Nord Est e Nord Ovest ancora crede che offrire un lavoro sia un atto di generosità a cui il dipendente deve sentirsi grato per il resto della sua vita, accettando qualsiasi condizione.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nei due anni della pandemia, complice la chiusura di settori importanti del nostro Paese (turismo e commercio in primis), molti di quei lavoratori non professionisti grazie ai quali si risolvono stagioni turistiche e interi settori (ristoranti, alberghi, negozi) hanno deciso di cambiare mestiere. A parità di scarsa professionalità hanno scelto di rivolgersi a lavori in cui vengano garantiti orari, contratti, pause adeguate e una socialità decente.

Ma questo gli imprenditori lo sanno bene. Addirittura dalle parti di Udine, si sono fatti in tre (Federalberghi, Confcommercio e FIPE) per ammettere che questa è la perfetta soluzione per recuperare lavori che nessuno vuole più fare. Ma se il problema è noto, perché non cercare di riformulare l’offerta anzichè importare lavoratori a breve termine ?

Più lavoro per tutti. Anche per chi non è vaccinato.

All’improvviso le offerte di lavoro in Italia hanno iniziato a scollarsi dai post it attaccati sulle vetrine dei negozi, dal passaparola degli amici degli amici e dalle offerte di lavoro piene di errori di ortografia attaccate con lo scotch ai pali della luce. Da una settimana i giornali non fanno che pubblicare gratuitamente offerte di lavoro grandi e piccole:

[…] E le offerte di lavoro, come dicevamo, non mancano. Confcommercio Udine si è fatta subito avanti anche nell’ottica di tamponare la carenza di personale nei ristoranti e nelle strutture turistiche. In Veneto, tra Padova e Treviso, 67 aziende hanno messo a disposizione 240 posti di lavoro come addetti al packaging, confezionamento e magazzino, lavorazione del legno, personale di sala, bar e ristorazione negli alberghi, autisti e anche informatici. Conflavoro ha creato la sezione “Conflavoro per l’Ucraina”, con una piattaforma per far convergere offerte di alloggio e di lavoro. E le disponibilità sono già numerose. E c’è chi, come Mariano Rigotto, presidente Confimi Apindustria Vicenza, ha chiesto di poter usare i voucher per «semplificare al massimo le pratiche per l’assunzione e gestire in modo flessibile il rapporto di lavoro, considerando che nessuno può sapere quando potranno rientrare in Ucraina».

Anche le Agenzie per il lavoro si sono attivate per fornire servizi finalizzati all’occupazione. «Ci attendiamo l’arrivo di donne e uomini che potranno essere impiegati nel settore ampio dei servizi, ma anche tanti che possiedono specializzazioni tecniche ed elevata formazione per le quali vi è carenza in questo momento in Italia», ha spiegato il presidente di Assolavoro Alessandro Ramazza. […]

Linkiesta.it

A queste aggiungiamo anche il gigante delle pizze industriali Roncadin che ha tirato fuori dal cilindro 100 posti di lavoro per i profughi.

Buone notizie anche dalle Regioni: il Presidente De Luca è già pronto a sostenere agricoltura e turismo, affidandosi al buon senso delle famiglie ospitanti affinché verifichino le condizioni igieniche e l’adesione alla campagna vaccinale dei profughi. Perché a molti è sfuggito che il popolo ucraino è fra i meno vaccinati in Europa e i vaccinati lo sono attraverso un vaccino non riconosciuto in Italia (Sputnik), tanto che il Ministro Speranza sta già valutando delle misure straordinarie. A questo aggiungiamo anche l’arrivo di un migliaio di medici e sanitari che verranno a lavorare in Italia per decreto del Ministero approvato alla velocità della luce, mentre ancora non è chiaro l’esito delle sospensioni dei 1913 medici italiani non vaccinati. Il che significa nuova confusione e nuove polemiche in vista.

Una soluzione dettata da ignoranza e improvvisazione

Questo moto di solidarietà nei confronti degli Ucraini ha il sapore per niente nuovo dell’improvvisazione e dell’ignoranza. Certamente non è frutto di analisi, pianificazione e bilanci extra da destinare alla causa. Oltre ad essere figlia di un modo di guardare a queste Persone che trova nella frase rubata a microfoni ancora aperti alla Nunziata: “Ucraini: badanti, cameriere e amanti”.

Chi oggi ha pensato a un’operazione del genere non si discosta di molto da quel modo di pensare.

Ci sono due ordini di fattori che non tengono in piedi questa operazione nemmeno per scommessa.

Il primo è il fattore emotivo: immagino queste famiglie, persone devastate da tre settimane di guerra in cui sono dovute scappare lasciando quello che resta delle loro case e dei loro affetti. Dalle cronache abbiamo saputo di anziani che hanno deciso di staccarsi dalle loro famiglie per non essere di impiccio durante la fuga; situazioni traumatiche che lasceranno segni indelebili per chissà quanti anni.

Il secondo fattore è tecnico: pensare di risolvere la situazione occupazionale con una popolazione formata al 90% da donne e bambini (perché questi sono i flussi attuali) è chiaramente una stupidaggine colossale. Fosse anche solo per la gestione di quei figli che parlano una lingua così profondamente diversa dalla nostra o troppo piccoli per essere lasciati soli.

Stiamo trattando queste persone come studenti in vacanza studio a cui si offre vitto, alloggio, corso di lingue e lavoretto stagionale senza sapere nulla del loro presente e ne ho conferma mettendomi in contatto con Markiyan Yurynets, un amico di vecchia data, imprenditore che divide la sua vita professionale fra Modena e Lviv dove si trova in questo momento per mettere a posto una casa di campagna da destinare all’accoglienza dei suoi concittadini, che mi spiega:

Partiamo dal presupposto che circa il 90% di queste Persone sono donne e bambini. Gli uomini restano naturalmente in Patria a difendere quello che rimane. Queste Persone stanno cercando un posto tranquillo dove fuggire dalle bombe e sostare per due o tre mesi. Hanno scelto l’Italia perché hanno contatti o amici, ma non sono i profughi africani che fuggono da regimi di tortura, di miseria estrema o da situazioni pericolose, che non hanno niente da perdere e cercano un posto dove rifarsi una vita. Gli Ucraini non fuggono per restare, fuggono per tornare. Sono Persone mediamente benestanti che finito questo periodo intendono tornare da dove sono venute.

Oltretuttose un Ucraino cerca lavoro è più facile che vada in Polonia, dove il costo della vita è più basso. Chi ha deciso di lasciare l’Ucraina lo ha fatto già 20 anni fa. A questo si aggiunga che gli Ucraini hanno un passaporto Schengen e possono muoversi ovunque in Europa.

Alla fine, mi chiedo di quale cinismo sia capace chi ha pensato che queste persone potessero diventare la “nuova forza lavoro” del nostro Paese per sostenere una stagione turistica in un albergo romagnolo o spingere le commesse di un capannone in Veneto con quel fardello sulle spalle. Mi chiedo dove sia il punto di contatto mentale in cui il senso di conforto fra umani scivola sulla buccia di banana dell’opportunismo e ospitare famiglie che si sono viste bombardare la casa trasformandole in sorridenti camerieri in pizzeria a 12 ore al giorno diventa un gesto umanitario anzichè una perfida operazione pubblicitaria.

Dopodichè, vorrei fare una domanda ai signori imprenditori e alle loro associazioni: fra un anno, quando queste Persone saranno tornate in Ucraina a riprendersi e a occuparsi delle loro vite, oltre ad aver ancora una volta procrastinato la soluzione di un problema senza averlo risolto, che futuro avrete dato alle vostre attività?

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