I fatti degli ultimi giorni stanno mettendo in forte discussione il “modello Milano”.
Un modello imposto da una comunicazione virale a prova di critica anche quando l’evidenza testimoniava una realtà ben diversa dall’efficenza, servizi, qualità della vita e – sempre più spesso – del lavoro.
Gli episodi di sessismo nelle agenzie di comunicazione emersi negli ultimi giorni che si stanno allargando a macchia d’olio, le inchieste della guardia di finanza a due baluardi dell’impresa lombarda: Esselunga e Sicuritalia, disegnano una situazione molto precisa.
A questo aggiungiamo la difficoltà di studenti e lavoratori a trovare sistemazioni in linea con un costo della vita insostenibile e non ultima una cultura del lavoro che – unica in Italia e alimentata dai giornali locali, Corriere della Sera e La Repubblica Milano, in queste settimane stanno letteralmente disinformando, lasciando credere che il mondo del lavoro sia tornato indietro di 3 anni (nell’articolo spiego bene cosa intendo).
Mentre si “forza” il ritorno negli uffici e si conducono campagne contro lo smartworking, le aziende perdono Persone di valore, gli uffici continuano ad essere mezzi vuoti e contemporaneamente si continua a costruire sottraendo le ultime aree verdi alla città.
Insomma, chi davvero vuole bene a Milano è bene che inizi a fare una seria obiezione di coscienza e ad affrontare criticamente il problema, chiedendo ai propri amministratori un cambio di passo e costruendo una contro-disinformazione più credibile.
Perchè Milano non ha un piano B.
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