“Investite nelle startup che sono una risposta all’alternativa fra reddito di cittadinanza e salario minimo”
Con questa frase si chiude l’intervento di Riccardo Luna importante divulgatore del sistema startup in Italia nel video di presentazione del Convegno organizzato a Torino in questi giorni destinato ai tecno-ottimisti e alle imprese innovative. Il tutto, alternato a fenomeni pop del momento tipo Achille Lauro, noto propagatore di messaggi di speranza per un mondo migliore a bordo di una Rolls Royce e dunque testimonial azzeccatissimo visto lo slogan del Convegno (“Un mondo migliore per tutti”) ispirato alla mission dei Gigacapitalisti: Amazon, Google, Facebook & Co., citati nel video come esempi fra “coloro che ce l’hanno fatta”.
Una promessa non mantenuta e ancora difficile da mantenere
Una frase che fa molto pensare a distanza di almeno dieci anni dall’adozione di un modello che nel nostro Paese ha visto pochissimi esempi di vere startup divenute vere aziende (i nomi sono sempre gli stessi, da cui vanno filtrate tutte quelle situazioni ben supportate da sponsor di tutto rispetto fin dall’inizio e ben lontane dall’iconico “garage”, minimo comun denominatore di chiunque abbia lanciato una startup) molto spesso usati come specchietti per le allodole per tutti coloro che, chiamati ad alimentare un mercato che ha macinato miliardi di fondi europei, avevano poche idee e nemmeno l’ombra di un investitore.
Non è bastato evidentemente il fallimento conclamato di tutti gli incubatori italiani dal Vega di Venezia al Polo di Navacchio in Toscana, restituiti all’uso della più obsoleta Pubblica Amministrazione mentre i Capi degli hub dell’innovazione (“poli” di vario genere, “garden” e “farm” oggi retrocessi al ruolo di scuole di formazione e poco altro e ben presenti fra speaker e sponsor del Convegno), trasferirsi praticamente tutti in sistemi più che tradizionali, talvolta trovando nella politica il naturale proseguimento del loro percorso.
Una politica che da Renzi ai 5Stelle ha investito e promosso questo modello e le sue cheerleader unicamente alla ricerca di “voti giovani e freschi” in cambio di favori e “ricapitalizzazioni con fondi pubblici” degni della Prima Repubblica.
Giornalismo “da bar” e Innovazione “tanto per”
La narrazione di un modello che non scalfisce il PIL italiano nemmeno di striscio, assume nel video di Riccardo Luna una narrazione intellettualmente (e giornalisticamente) improbabile e molto distante dalle generazioni a cui si vorrebbe parlare.
Dopo gli imprenditori da spiaggia e da tornio (a seconda delle stagioni), i Confindustriali che si stracciano le vesti impossibilitati a coprire “commesse internazionali” per mancanza di personale (salvo poi scoprire le condizioni e i contratti proposti e la totale incapacità di attrarre e selezionare candidati), anche l’innovazione cerca il suo spazio di pura improvvisazione nello scandalo del Reddito di Cittadinanza.
Pur comprendendo la necessità di far credere alle ultime due generazioni “che un modello startup sia una opportunità” (visto che l’ultima che si è schiantata in massa contro il tanto declamato “fallimento” è quella dei Millennials, una generazione che sta alimentando le file dei disoccupati senza competenze adeguate alle richieste del mercato), ai ragazzi bisogna però raccontare una storia nuova.
Raccontare una storia nuova alle nuove generazioni
Bisogna spiegare che i modelli (le “ex startup Amazon, Google, Facebook”) di cui parla Riccardo Luna nel suo video sono modelli che con la scusa trita e ritrita di “rendere il mondo un posto migliore” lo stanno affamando, svuotando di contenuti e di significati, ma soprattutto di lavoro vero. E quel “mondo migliore” di cui parlano è un mondo in cui si evadono le tasse, si sottopagano i lavoratori, si genera la nuova povertà dei riders senza un contratto usati per creare un bisogno e ben presto sostituiti da carrelli meccanici che generanno una popolazione intera di disoccupati senza futuro.
Intanto i Gigacapitalisti marginano miliardi e consumano risorse di questo mondo mentre noialtri ci trasferiamo nel Metaverso.
Bisogna spiegare ai ragazzi la storia di un Paese che deve riprendersi il suo know how industriale, fatto di “pezzi” e non di “nuvole”, fatto di “mani” e di “pensiero”. Un know how che si trova nei laboratori e nelle fabbriche di questo mondo, non di un universo parallelo, dove oggi si parla il linguaggio della robotica in camice bianco. Un know how che il mondo ci riconosce davvero e che stiamo invece delocalizzando altrove con buona pace della politica e delle imprese stesse, mentre farfugliamo di “digitale” in un Paese che per metà non ha ancora la “banda larga”.
Alla narrazione di un modello startapparo che ancora attrae chi si affaccia al mondo del lavoro, vi suggerisco questo articolo di Riccardo Maggiolo, pubblicato un anno fa su Huffington Post e il nuovo libro di Riccardo Staglianò, Gigacapitalisti.
Articolo pubblicato originariamente per SenzaFiltro