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Il contratto collettivo di Deliveroo è illegittimo

Quando circa un anno fa il “funzionario” italiano di Deliveroo su Linkedin annunciò come “evento epocale” l’ideazione di un contratto collettivo per il settore del food delivery, ad esclusione di un pugno di fans dall’entusiasmo facile e in overdose da superlativi, in tantissimi restammo basiti.

Si, perché come è noto a chi si interessa di diritto del lavoro, un Contratto Collettivo si discute, si condivide e si legittima attraverso le relazioni sindacali, una rappresentanza dei lavoratori e il Ministero.

Le imprese italiane che operano nella legalità e correttezza dei termini, ci impiegano anche mesi prima di modificare un CCNL.
Assodelivery (da cui si dissoceranno poche settimane dopo anche i brand più importanti come JustEat, che intraprenderanno una politica di assunzioni totalmente diversa) ci riesce in una notte.

La spiegazione è semplice: stavano scadendo i termini con cui il Ministero aveva imposto alle aziende di food delivery (in particolar modo multinazionali) di adeguarsi alle regole del Paese in cui operano. Scaduti i termini, il contratto di riferimento sarà quello della logistica (che prevede tutele e retribuzioni profondamente sconvenienti a chi fino ad oggi ha applicato regole “proprie”).

E così, nel giro di una notte, con la complicità di un sindacato irrilevante (fra l’altro di destra, che verrà delegittimato da tutte le altre sigle, addirittura a livello europeo), Deliveroo e soci riescono a produrre un “Contratto in proprio” con cui “regolarizzare” il proprio “modello” di business e unilateralmente anche le loro discutibilissime condizioni.

Il Tribunale di Firenze ha condannato Deliveroo a dismettere l’uso del Contratto e ne ha definitivamente sconfessato la sostanza.

Queste notizie non dovrebbero nemmeno apparire sui nostri giornali e invece da anni si continua a discutere se sia etico pigiare un pulsante per avere uno schiavo a domicilio che inquini, si ammali, si infortuni (e a volte muoia) al posto nostro permettendoci di “risparmiare tempo”.

E non escluderei una profonda riflessione anche sulle nostre “esperienze d’acquisto” alla luce di tutte le decisioni dei tribunali in merito ad un algoritmo discriminatorio, accuse di caporalato e ora anche un contratto delegittimato.

Spero Matteo Sarzana consideri questa come l’occasione non solo di rivedere la sua comunicazione personale, ma anche di adeguare il suo modello imprenditoriale a quello di tutte le aziende italiane che hanno rispetto per il Paese in cui operano e per i propri collaboratori.

L’etica del lavoro è un tema quotidiano, non funziona ad intermittenza e a seconda delle convenienze.

Approfondimento: post completo su Linkedin

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