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Just Eat un passo avanti, Milano un passo falso

Il mercato del food delivery in Italia negli ultimi sei mesi è stato al centro di grandi dibattiti (è fra i settori che sono maggiormente cresciuti durante il lockdown), molte polemiche (la promulgazione di un Contratto Collettivo unilaterale sonoramente bocciato da tutte le sigle sindacali e dal Ministero del lavoro), diverse condanne per caporalato e per abuso dell’algoritmo, qualche brutto episodio (la morte di un rider di 47 anni a Montecatini).

Finalmente sembra farsi un pò di luce nella nebbia di un vuoto legislativo su cui le principali aziende multinazionali (Glovo, Deliveroo, Uber Eats e Just Eat che sotto il cappello di Assodelivery) hanno surfato a lungo.

Mi riferisco a due episodi in particolare: l’avvento sul mercato del gruppo Pellegrini, operatore di grande rilievo nel settore del “cibo da trasporto” e la decisione di Just Eat di uscire da Assodelivery e di intraprendere un percorso più etico nei confronti dei fattorini e del mercato in generale.

Mentre osserviamo molto da vicino i passi che Pellegrini intende fare e quale modello applicherà, ho raggiunto telefonicamente Viviana Marino, Responsabile della Comunicazione e delle Pubbliche Relazioni di Just Eat che alla mia tendenziosa domanda se l’uscita da Assodelivery fosse stata in qualche modo dettata dai recenti eventi che hanno creato qualche ammaccatura reputazionale alle “Big Four” di settore, mi risponde con grande disponibilità :

Assolutamente no. E’ una scelta che sarebbe comunque avvenuta al di là delle agitazioni e fuori dai tavoli aperti con i sindacati. Il contratto collettivo a nostro avviso aggiungeva alcune tutele rispetto al passato, e quando Just Eat lo ha firmato era il momento giusto per farlo. Tuttavia stavamo già lavorando per applicare anche in Italia il modello che viene utilizzato a livello di Gruppo. Nel momento in cui è arrivata la consapevolezza di poterlo applicare non aveva più senso restare all’interno di Assodelivery con cui c’era una differenza di intenti diametralmente opposta.

Cosa intende per “differenza d’intenti” ?

Significa per l’appunto voler applicare un modello di lavoro subordinato completamente diverso dal modello autonomo che Assodelivery vuole continuare a perseguire. L’uscita era la soluzione ideale per tutti.

La risposta ci sembra sincera, al di là di qualche incoerenza di fondo (tipo sottoscrivere un contratto così controverso e contemporaneamente rompere la relazione con i partner per perseguire un percorso completamente opposto) pertanto chiedo ancora alla dott.ssa Marino:

Mi sembra quindi che questa decisione porti automaticamente anche ad applicare un Contratto Collettivo diverso da quello sottoscritto con Assodelivery…

Al momento partiremo su Monza con un contratto aziendale che fa riferimento ad un regolamento di gruppo adattato alla normativa italiana. Stiamo continuando il confronto con i sindacati, con l’idea di trovare una contrattazione collettiva che ci rispecchi e migliori le condizioni attuali.

La dott.ssa Marino mi promette di inviarmi la documentazione specifica e in pochi minuti, come concordato, la ricevo:

Cosa prevede il modello SCOOBER

Nel comunicato si specifica quale siano le condizioni previste da questo modello aziendale definito “Scoober“.

In pratica, questo prevede di utilizzare diversi regimi di orario:

[…] contratti di lavoro dipendente full time, (40 ore settimanali), Part-time (variabile in base alla città e ai volumi di ordini previsti) e a chiamata. Quanto alla retribuzione, in fase di prima applicazione, Just Eat riconoscerà un trattamento non inferiore alle tabelle previste da contratti collettivi esistenti per profili ed attività analoghe, garantendo un compenso orario del valore medio di circa 9 Euro.  Si tratta di un valore indicativo, che si ottiene applicando su una paga base di 7.50 Euro l’ora, indipendentemente dalle consegne effettuate, il pacchetto di maggiorazioni previste dalla normativa in vigore. A tale somma si aggiungerà un ulteriore sistema di bonus legato al numero di consegne. Tale importo potrà essere aggiornato e rivisto – nella sua composizione e funzionamento – in funzione dell’esito del confronto sindacale in corso. Sono previste inoltre indennità per l’utilizzo del proprio mezzo per le consegne, auto, ciclomotore o bicicletta,  assicurazione di responsabilità civile verso terzi assicurazione sulla vitaindennità integrative per lavoro notturno, festività e lavoro straordinarioferie, malattia, maternità/paternitàdotazioni di sicurezza gratuite […]

Un “ufficio” anche per i Riders

Sembra anche che finalmente non dovremo più assistere a scene mortificanti di fattorini più o meno giovani, “sbattuti su un marciapiede” in attesa della prossima chiamata.

Nelle città più grandi abbiamo previsto degli hub; una specie di centro logistico in cui i riders oltre a potersi incontrare e ad avere un luogo di lavoro dove fermarsi, ritirare la giacca, la bicicletta o il motorino elettrico, svolgono il loro turno, possono riparare i mezzi, manutenerli e dopo aver svolto il loro turno, restituire l’attrezzatura e tornare a casa. Nelle città più piccole implementeremo un modello che internamente definiamo “remote model” in cui i riders, con un contratto da dipendenti subordinati utilizzeranno il loro mezzo – motorino, auto o bicicletta – avvalendosi di un adeguato rimborso spese.

Questo significa che fornirete voi i mezzi a tutti i fattorini?

Al momento è previsto nelle grandi città, fra quelle già confermate Milano, Torino, Bologna, con altre siamo in corso d’opera.

La parola al sindacato

E’ sempre più facile trovare all’interno del sindacato dirigenti giovani, attivi e ben informati. Siamo stati fortunati anche questa volta, poiché al telefono ci risponde Sara Tripodi, Segretario Generale della FILT CGIL (la Federazione Italiana Lavoratori dei Trasporti) per il territorio delle Brianza, laureata in relazioni industriali ed un curriculum di tutto rispetto all’interno degli organi istituzionali regionali.

Sara Tripodi, FILT CGIL

Dal momento che il primo esperimento di Just Eat è previsto a Monza le abbiamo chiesto in che modo il sindacato e le istituzioni provinciali e regionali abbiano accolto la decisione.

Lo sfruttamento – ricordiamo – esiste anche in presenza di lavoro subordinato, dunque non ci accontentiamo solo della tipologia di inquadramento. Esiste un tavolo di lavoro nazionale in cui è coinvolto il Ministero insieme alle rappresentanze dei Rider; siamo tutti estremamente disponibili ad un dialogo collaborativo con le multinazionali del food delivery, ma queste si devono rendere conto che quando si opera in un territorio ci si deve attenere alle regole – condivise – di quel territorio. Non è pensabile regolamentare una categoria intera con un contratto interno; è necessario che anche il food delivery si riconosca all’interno dei contratti collettivi nazionali esistenti – e quello delle merci e trasporti è quello più affine con questo mercato – fatte le dovute modifiche.

Ma è necessario che queste aziende si presentino ai tavoli di discussione.

Quali sono gli aspetti ancora poco chiari e le vostre richieste?

C’è ancora da fare molta chiarezza in merito agli orari di lavoro, i premi, il diritto alla disconnessione. In questi anni siamo entrati molto in confidenza anche con gli algoritmi e sappiamo bene di cosa parliamo.

A questo aggiungo che è importante che anche la politica faccia la sua parte.

Argomenti simili quelli espressi da Marco Lombardo, assessore al Comune di Bologna, ideatore della Carta dei Diritti dei Lavoratori del Digitale e da anni attivista in questo e altri temi legati alla gig economy.

Prima di applaudire aspetterei di avere una risposta in merito a quale contratto collettivo nazionale verrà applicato, perchè se è quello della logistica, siamo nel pieno rispetto della Carta di Bologna, ma se è quello di UGL Assodelivery rimane solo un’operazione di brand washing.

Il ruolo dei Comuni nel nuovo corso del food delivery

Torno da Viviana Marino per capire che gioco abbiano avuto i singoli Comuni nella decisione strategica del nuovo corso di Just Eat.

Mi sembra di capire che questo nuovo corso non sia frutto di contrattazioni con ogni Comune, ma sia una decisione maturata all’interno della Vostra organizzazione.

La dott.ssa Marino ci tiene a sottolineare ancora una volta che la decisione non dipende da eventi di cronaca o reputazionali e alla mia precisa domanda sul ruolo dei Comuni in questa decisione, Milano compresa, mi conferma che ci sono naturalmente stati contatti e “relazioni” con i vari assessori di tutti i Comuni in cui Just Eat opera, ma mai operativi per i quali si possa dire che ci sia stata alcuna influenza da parte di questi nella decisione di Just Eat.

Come sosteneva di fatto anche Sara Tripodi della CGIL.

Milano: anche le pulci hanno la tosse.

La domanda non è stata casuale, poiché in seguito alla notizia del nuovo corso di JustEat, su Linkedin sono comparsi due post a mio avviso fuori luogo.

Il primo, in cui si applaude alla “civilizzazione del food delivery” è opera di Pier Francesco MoranAssessore all’Urbanistica, Verde e Agricoltura (che immaginiamo bravissimo a piantare ravanelli nelle aiuole cittadine, un pò meno forte in italiano) facendo notare il ruolo “importantissimo” dei sindacati (senza ombra di dubbio visto che è solo grazie a loro se il CCNL di Assodelivery è stato delegittimato a tempo di record) e dei tavoli di lavoro delle istituzioni (quali?) come il Comune di Milano, attribuendo addirittura all’assessora Cristina Tajani il merito della “svolta”.

Al che, alla mia domanda si risponde dopo qualche ora con traballante fermezza e con un commento un pò vago.

Ma alla rete si sa, non puoi mentire.

A questo punto era d’obbligo verificare se sul suo profilo l’assessora Tajani avesse meglio specificato riguardo al coinvolgimento del suo assessorato nella decisione di Just Eat. Ma troviamo poco più di una replica autocelebrativa di quanto già visto sul profilo di Maran.

Eppure, verificando le agenzie di stampa nell’arco di tutto l’anno e facendo una ricerca su Google News nonostante una naturale predisposizione dell’assessora nel condividere la sua agenda e i suoi successi con i media di ogni genere, non c’è alcun riferimento a prese di posizione del suo assessorato in merito al mercato del food delivery. Nemmeno in occasione delle polemiche sul Contratto Collettivo dei Riders che scatenò in primis a Milano uno sciopero di tutti i fattorini per una intera settimana.

Ma siccome potrei essermi sbagliato, credo sia fondamentale quanto meno dare l’opportunità alla dott.ssa Tajani, di spiegarsi:

Sono lusingato, mi ha riconosciuto.

La risposta mi sembra già più chiara. Il Comune non ha di fatto avuto alcun ruolo in questa decisione, ma bensì ha ribadito i valori fondamentali, presupposto il positivo dialogo, incoraggiato la rappresentanza. Che per un Assessore al Lavoro, mi sembra il minimo sindacale, permettetemi l’ironia, in particolar modo nella città in cui Deliveroo, Glovo e Just Eat hanno le loro sedi italiane.

Mi permetto un giudizio del tutto personale nel rimarcare invece un atteggiamento di colpevole indulgenza da parte dell’Assessorato al Lavoro di Milano nei confronti dei 4 colossi, proprio in virtù delle sedi locali, per continuare a mantenere lo storytelling della Milano del Business, in particolare dopo che Foodora minacciò di lasciare l’Italia se qualcuno avesse provato a metter loro i bastoni fra le ruote con (assurde!) richieste di coperture assicurative e tutele.

Pericolo scampato, poichè ci penso Glovo a rilevare la baracca (e i burattini)

Eppure, tornando ai social sembrerebbe il contrario e i (non molti, a dire il vero) complimenti per l’ottimo lavoro sul post della Tajani sono ancora lì e l’assessora si è ben guardata di girarli a chi quel lavoro lo ha fatto davvero.

Continua lo storytelling di Milano, che non accenna a cambiare stile nonostante il mondo nell’ultimo anno sia profondamente cambiato.

Invitiamo Cristina Tajani a leggere le parole del suo omologo Marco Lombardo a Bologna, che in un recente incontro insieme a Luciano Floridi sul tema dell’innovazione digitale nel lavoro ha dichiarato:

“Cominciare a dire che una città vuole un lavoro di qualità e vuole promuovere una cultura del lavoro digitale. significa che una città deve avere la capacità di dire dei no, non di accogliere tutto in maniera discriminata”

Questo sia chiaro, vale tanto per i Rider che rappresentano il 10% dei lavoratori della Gig Economy, quanto per tutti gli altri lavoratori collegati a piattaforme, algoritmi e scacchiere.

Complimenti intanto a chi, anche in assenza di istituzioni (e mi riferisco a sindacati, rappresentati dei fattorini, cittadini più consapevoli e Assessori più battaglieri), sta cambiando le regole del gioco.

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