Da Milano non ci si passa, bisogna volerci proprio andare. In linea di massima, a Milano ti ci mandano.
Salvo quelli che trascorrono le vacanze in Ticino, ma non dovrebbero essere tantissimi..
Si dà per scontato, in qualsiasi conversazione che termina con una promessa di incontro o la pianificazione di un appuntamento, che sia sempre il Non Milanese ad organizzarsi per raggiungere la Capitale Italiana del Lavoro. Come se al mattino i treni andassero solo verso Nord e conseguentemente al pomeriggio solo verso Sud.
Gira voce che sotto Piacenza non si fabbrichino sedie o scrivanie e si lavori tutti in garage o in grotte scavate nella montagna, inadeguati a ricevere ospiti, clienti, fornitori.
Eppure, lo giuro, la banda è larga come a Milano, le segretarie hanno le chiavette per le macchinette del caffè, gli ascensori hanno ormai sostituito i montacarichi, le fotocopiatrici fanno il fronte-retro, i telefoni a disco insieme alle cabine telefoniche anche qui, sono spariti (quasi) dappertutto.
“Ma se vengo da te, poi dove pranziamo?”
Per non parlare dei ristoranti. Esistono e resistono anche una volta scavallato Melegnano sotto il cui casello esistono altri ben milleduecentoventinove chilometri di Penisola Italiana (isole escluse) popolata da Umani non necessariamente dediti alla caccia con arco e frecce o allo sfregamento di pietre focaie.
Quando passi da Milano… è diventato dunque il ritornello con cui da diverso tempo si chiudono telefonate, email, chat, skypeconf e qualsiasi altro tipo di interazione professionale. Mi viene il sospetto di un’Epidemia di Affectum Terga (ovvero Vinavil alle Chiappe) che renda impossibile tecnicamente la mobilità dei Residenti del Luogo verso Altrove.
O più semplicemente, la spiegazione è di natura ambientale. L’esubero di ossigeno nell’aria delle altrui città potrebbe effettivamente incidere sul sistema neurologico dell’ Abitante Milanese compromettendo il naturale allargamento delle vocali e l’aumento dei diminutivi (il classico “momentino”). Nella sua forma più aggressiva si è notata una rilevante perdita dei caratteri per le slide che adesso tutti chiamano “chart”. Da 30 slide in su, si aggiungono vocali: “chaaaaart” (nel caso di una presentazione di 70 slide).
E se invece fosse una questione di linguaggio?
“La strategy”, “briffare”, “embeddare”, “brainstorming” “shiftare”, “loggare”, “flaggare” “ASAP” e altre corbellerie che mai azzarderesti in nessun Paese di lingua anglofona, rischiano di rendere incomprensibile qui in terra barbara una comunicazione invece così pregevole fra Italiani di Lassù.
Il fenomeno risulta altresì perfettamente assorbito in direzione contraria al punto tale che un qualsiasi Abitante al di sotto di Lodi, superato il confine vi si adegui immediatamente; in questo momento, in carrozza 8 un giovane manager Terrone (in quanto di Modena), sta già briffando i colleghi sulla nuova strategy da deliverare alla Corporate, ASAP. Ad altissima voce.
Al netto dell’ironia, è comprensibile che una grande azienda abbia la necessità di incontrare i suoi consulenti e fornitori per una presentazione ad un team di progetto, un’analisi del contesto ambientale o per la visita alle linee produttive. E’ evidente che in alcuni casi sia poco economico e pratico spostare più persone, allineare calendari e impegni di tutti, o ancor più complesso spostare una fabbrica.
Ma qual è l’ultima volta che avete fatto consulenza a un’azienda incontrando più di 3 manager, visitando stabilimenti o analizzando il contesto ambientale… A MILANO???
Quando il cliente sono io.
Stessa situazione si presenta quando il cliente sono io o addirittura, nel mio caso succede spesso che manager di grosse aziende ti convochino (e tu pensi: “dai, un mandato per una bella multinazionale che aumenterà il mio prestigio di recruiter provinciale!“) per poi scoprire che il soggetto in questione si voglia proporre come candidato e che il pranzo a cui sei stato invitato è giocoforza tale non potendo incontrarti in ufficio fra i suoi colleghi, capi e collaboratori.
400 kilometri per un “pranzo” a tue spese.
A questo aggiungiamo le trasferte: un hotel (degno di questo nome) a Milano costa in media il doppio di qualsiasi altra città, che si quadruplica durante Fiere, QualcosaWeek e TormentoniDay ormai all’ordine del giorno. Così come le spese di treno (se non si vuole perdere 3-4 ore in auto con tutti i rischi del caso, parcheggi e zone C). Treni che per giungere a destinazione negli orari stabiliti da chi non valuta mai le provenienze di chi viene dalla Giungla, costano il doppio di treni equivalenti presi in orari a metà mattinata o a inizio pomeriggio, evitando anche conseguenti levatacce alle 5 del mattino per essere puntuali alle 9 al netto degli imprevisti.
Ma si sa, i “meetingS” sono “Urgent” e la “pianification” non consente quasi mai la possibilità di aderire a offerte più vantaggiose.
L’imprevisto dell’ultimo minuto e il collaboratore – fantoccio
Se poi vogliamo estremizzare: quante volte vi è capitato di fissare la riunione con un dirigente che per “un’emergenza dell’ultimo momento” vi scarica come un pacco ad un suo collaboratore – fantoccio, all’oscuro dell’argomento e di tutti i precedenti passaggi (e altrettante trasferte), ma – vi assicura l’interlocutore principale – “è come se parlaste con me, anzi, il collega è praticamente il mio AVATAR!” concludendo: “Poi domani ci sentiamo e facciamo il punto telefonicamente…“
Residenti nella Bella Città di Milano, facciamo un patto fra gentleman: una volta vengo “su” io e una volta venite “giù” voi. Le ore di viaggio sono identiche, i costi per voi più bassi; l’hotel ve lo paga l’azienda o il più delle volte non lo prenotate. Non si sa quale sia il motivo, ma “dovete scappare” sempre, senza mai godervi una serata o un fine pomeriggio in città che non volete conoscere, piene di gente simpatica che non ti chiede solo “che lavoro fai?”.
Almeno una delle due volte in pausa pranzo non ci ingozziamo di insalate di plastica e piatti unici con verdurine grigliate che si confondono tristemente con il bio cartone del piatto da cui cercano di suicidarsi.