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Come ho selezionato due fra i social media specialist più qualificati in Italia e li ho inseriti in azienda

A fronte di un aumento delle richieste di figure specializzate nel marketing e comunicazione digitale, non sono i blogger, gli “influencer” e i social-consulenti le figure più adeguate. Manca l’attitudine a lavorare in azienda. 

Quando si seleziona uno specialista del social media marketing, bisogna tener conto che quasi nessuno ha fatto realmente studi di marketing (quelli tradizionali e che sono ancora oggi riferimento aziendale) e che i “social media” sono strumenti troppo recenti per avere una dignità scolastica ben affermata, sebbene molte business school e tanti corsi privati negli ultimissimi anni hanno individuato il filone social come una nuova area di interesse (e di business). Spesso affidato alla docenza di quegli stessi social media “specialist” di cui sopra. E il cane si morde la coda.

L’argomento tuttavia, per quanto molto recente, se da una parte ha prodotto una letteratura molto fitta in termini di case history (di cui tantissime sono esperienze critiche), dall’altra è diventato un terreno di grande improvvisazione permessa dall’incontro fra facilità di approccio dal punto di vista tecnico e il ritardo con cui le aziende hanno iniziato a capire l’importanza dei nuovi canali. Ma gestire i canali social di un’azienda è un lavoro che richiede una grande capacità di relazione, di collaborazione, di coinvolgimento prima di tutto. Poi di strategia, di comunicazione, di scrittura.

A questa descrizione non corrisponde quasi nessuno fra coloro che sui gruppi dedicati al tema della comunicazione tranciano giudizi negativi su come alcune aziende fanno Corporate Branding invocando continuamente l’ #epicFail. Quasi nessuno di coloro che condividono entusiasti l’ultima campagna della Ceres sarebbe in grado di ideare un post di Instant Marketing. Quasi nessuno fra coloro che si definiscono “influencer”,  che hanno blog spesso molto seguiti e sui social guadagnano “like” ad ogni sospiro, sarebbero in grado di definire una strategia efficace per un’azienda quanto invece sono bravissimi a fare self-marketing (trad.: se la cantano e se la suonano).

Non è un caso che questi ultimi, quando vengono portati a intervenire fuori dalle proprie cerchie protette non ottengano nemmeno un decimo dei risultati in termini di engagement che ottengono quando scrivono per “i propri lettori”.

Quando Trigano (multinazionale leader nel mercato dei camper con brand del calibro di RollerTeam, Caravans International, Arca Camper, Elnagh, McLouis, Mobilvetta e tanti altri) e Performance Strategies (società di eventi internazionali che ogni anno organizza il Forum delle Eccellenze e decine di eventi con relatori di altissimo livello) mi hanno coinvolto in una ricerca per un social media marketing specialist con l’obbiettivo di coordinare la comunicazione digitale e il branding sui canali social sono arrivati decine di CV.

Molti curriculum sulla carta sembravano coerenti con le job description da me pubblicate su alcuni gruppi tematici in Linkedin, su un paio di portali a cui sono abbonato e sui miei canali social che utilizzo per il recruiting di figure specializzate.

Molti hanno osato troppo e CV a parte, non erano propriamente convinti di lasciare la propria area di comfort per andare a svolgere un lavoro in azienda a stretto contatto con obiettivi, KPI, pianificazione minute by minute di ogni singola azione.  

Se a un contabile si richiede di conoscere molto bene tutto ciò che riguarda l’amministrazione e la fatturazione, i meccanismi di accounting sono molto chiari: si perde o si guadagna, entrate e uscite, investimenti riusciti o fallimenti. Il lavoro del social media specialist in azienda è altrettanto preciso anche se decisamente più “creativo”, ma non meno strategico e pianificabile. E agli influencer non piace essere influenzati.

E qui torniamo alle caratteristiche che ho elencato più in alto.

Per prima cosa è fondamentale che tutta l’azienda o almeno i suoi vertici siano coinvolti nel nuovo processo di comunicazione. Persone che hanno ruoli strategici e che hanno poco tempo per “i giocattoli” devono capire che questi nuovi canali di comunicazione rappresentano una grande opportunità di visibilità e di attrazione per i nuovi clienti e di fidelizzazione per quelli già acquisiti. Il social media specialist deve essere in grado, armato di santa pazienza, di convocare una riunione in affiancamento all’Amministratore Delegato e spiegare – a volte istruire – come tutte le aree aziendali possono godere dei benefici di una comunicazione veloce e incisiva come quella che viaggia sui canali digitali, chiedendo il supporto di tutti e non sostituendosi ad essi. 

Cercherà di conoscere nel profondo il modello aziendale, i suoi processi, i suoi prodotti per raccontarli al meglio e definire quali i migliori canali su cui comunicare – e dunque – vendere.

Un Ads su Facebook non è per sempre. 

Infine, e soltanto allora, metterà le mani sulla tastiera e definirà una strategia digital allineata e coerente con quella del marketing tradizionale. I cataloghi e i post viaggeranno insieme sebbene su binari e con alfabeti diversi. Dopo di che parte l’operatività e la creazione di testi che abbiano una  dignità letteraria: anche una frase semplice viene studiata in ogni parola, il testo di un blog non può essere frainteso come l’elucubrazione notturna di un bimbominkia, deve essere professionale, richiamare numeri, obbiettivi, esperienze concrete.

E infine, l’analisi dei flussi di dati, la lettura degli analytics, la traduzione di quei dati in strumenti utili per la vendita e per il posizionamento dell’azienda. 

La selezione è stata molto complessa perché una volta individuati i candidati più competenti dal punto di vista tecnico era necessario capire quali fra questi avessero le caratteristiche di leadership e di intelligenza sociale per operare un cambiamento culturale in azienda senza invadere gli spazi, alterare gli equilibri e entusiasmando i nuovi colleghi.

Le persone che ho scelto sono due fra i personaggi più rappresentativi sul panorama nazionale senza avere un’esposizione da star.

Per i miei candidati questo passaggio ad aziende strutturate ha rappresentato un salto qualitativo molto interessante che permetterà loro di distinguersi da una massa sempre meno definita di operatori della comunicazione digitale.

La vera differenza in questo settore la fa oggi chi passa da piccole realtà imprenditoriali, tradizionali, con scarsa visione del futuro che spesso parlano in dialetto ed in un dialetto unico, ad aziende in evoluzione e con una forte spinta in termini di comunicazione, formazione, crescita delle proprie risorse umane e innovazione. La differenza la farà chi fa il salto della barricata dalla micro consulenza per tante piccole realtà indefinite all’azienda complessa. Coloro che potranno inserire nel proprio curriculum una vera e propria esperienza aziendale con brand definiti e riconoscibili.

Perché se oggi le aziende sono poco preparate e si affidano maggiormente all’improvvisazione, domani non saranno più disposte a sbagliare e cercheranno coloro che hanno un pedigree ben definito. 

Questi saranno coloro che diventeranno i professionals del digitale, differenziandosi da un esercito di blogger e di influencer, informatici prestati alle agenzie di comunicazione, startup, garage e cantine che non hanno saputo cogliere il momento giusto – questo momento – in cui le aziende sono pronte a fare un passaggio generazionale importante. E resteranno in cantina o in garage. O startup per sempre.

Si tratta di capire chi vuole continuare a giocare e chi decide di farlo diventare una professione da adulti.

In bocca al lupo Cristiano, in bocca al lupo Rosanna.

Pubblicato su Linkedin Pulse

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